Solco profondo fra sinistra e Stati Uniti

Solco profondo fra sinistra e Stati Uniti

Diciotto applausi con tre standing ovation dicono molto sul piano dell’effetto del discorso di Silvio Berlusconi al Congresso degli Stati Uniti, ma non rivelano le linee guida di un intervento calibrato sulla politica estera che aprirà un solco ancor più profondo tra la sinistra italiana e l’America di Bush.
Il nocciolo dello storico discorso del Presidente del Consiglio a Capitol Hill ha un nome: Europa. È sul legame tra il Vecchio Continente e il Mondo Nuovo che Berlusconi ha dato il chiaro segnale all’alleato storico: «È necessario innanzitutto che i legami tra Unione Europea e Stati Uniti, tra le due sponde dell'Atlantico, si mantengano forti e solidi». È l’incipit del passaggio chiave, quello in cui il premier marca la distanza dalla coalizione guidata da Romano Prodi. È qui che le due visioni della politica europea vengono messe nero su bianco in nove cartelle: da una parte chi sostiene un eurocentrismo basato sul vecchio e superato schema dell’asse franco-tedesco, in competizione con gli Stati Uniti per l’agenda-setting globale; dall’altra un modello multipolare dove però «l’Occidente è e deve restare uno solo: non ci possono essere due Occidenti. L'Europa ha bisogno dell'America e l'America ha bisogno dell'Europa». E se non ci possono essere due Occidenti è altrettanto chiaro che non ci possono essere due modelli di difesa, ma uno solo, integrato, rapido ed efficiente. Il segretario generale della Nato Jaap de Hoop Scheffer era stato netto la settimana scorsa durante la sua visita in Italia nel chiedere di «ridurre la distanza tra Nato e Europa». Altrettanto lo è stato Berlusconi nel ribadire scelte fondamentali della politica estera italiana, per cui «è assolutamente necessario, anzi è fondamentale sostenere e rinvigorire l'Alleanza Atlantica, l’alleanza che per più di mezzo secolo ci ha garantito la pace nella libertà. Per questo le nuove capacità di Difesa Europea devono essere complementari a quelle della Nato. Insieme, Nato ed Unione Europea devono essere gli strumenti della democrazia per garantire la sicurezza nel mondo ormai globalizzato».
Berlusconi ha toccato i temi della politica globale, mettendo in primo piano gli sforzi dell’Occidente nella lotta al terrorismo e nella diffusione della democrazia. Toccando con abilità le note dell’orgoglio americano e del sentimento nazionale, il premier è apparso un leader sicuro e carismatico, capace di una performance che ha impressionato tanto i repubblicani quanto i democratici. E se il discorso di Berlusconi a Washington è un tonico per la campagna elettorale del centrodestra in Italia, è anche vero che per l’amministrazione Bush l’intervento del premier è un segnale per i congressmen che c’è un’altra Europa, diversa da quella di Chirac e Schröder, agganciata saldamente agli Stati Uniti, pronta a condividerne i valori e le battaglie.
L’effetto sui rappresentanti della Camera è stato netto. Ne sono testimonianza le frasi di John Boehner, leader della maggioranza repubblicana che ha preso il posto di Tom Delay: «Berlusconi ha fatto un bellissimo discorso». E se qualcuno in Italia ha cercato di mettere in dubbio l’appoggio della Casa Bianca all’azione del governo italiano, è meglio che rilegga l’International Herald Tribune che ieri dedicava all’incontro Bush-Berlusconi un articolo che parlava di warm endormesement (caldo appoggio) della Casa Bianca a Palazzo Chigi e rifletta ancor di più sul commento di Boehner su un possibile cambio di maggioranza nel nostro Paese: «Preferisco Berlusconi». Per un Congresso dove i democratici sono perennemente in cerca d’autore dopo il passaggio della meteora del kerrysmo e i repubblicani che qualche volta si sono divisi su provvedimenti fondamentali per l’amministrazione Bush, vedere un leader così determinato è stato un bel segnale, un colpo importante sferrato alle accuse di unilateralismo e isolamento internazionale.
Ieri l’ambasciatore americano a Roma Ronald P. Spogli era presente al Congresso. È uno dei pioneer del partito repubblicano (cioè uno dei principali finanziatori della campagna elettorale del Presidente George W. Bush) e sfogliava con soddisfazione il discorso del presidente del Consiglio insieme agli altri congressmen. La regia dell’evento porta anche la sua firma e in via Veneto questo è considerato un piccolo capolavoro diplomatico. La linea è quella tradizionale della politica americana: nessuna interferenza negli affari interni del Paese, ma massimo supporto a tutte le azioni che facilitano e favoriscono le relazioni internazionali tra Stati Uniti e Italia.

Ciò non impedisce alla diplomazia americana di valutare con attenzione gli scenari possibili dopo il 9 aprile. È la scuola politica realista e finché il presidente del Consiglio in carica si chiama Silvio Berlusconi, gli altri possono attendere.

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