Roma «È solo l’ultimo atto di un accerchiamento che va avanti da mesi e che rischia di portare il Paese alla rovina». Terminato il Consiglio dei ministri, nelle sue conversazioni private Silvio Berlusconi torna sulla deposizione del pentito Gaspare Spatuzza, che da pochi minuti ha deposto nell’aula bunker di Torino e ha accusato il premier di essere tra i mandanti delle stragi di mafia del ’92 e ’93. «Cose tanto folli ed incredibili da essere ridicole», spiega il Cavaliere a chi ha occasione di sentirlo. In pubblico, però, Berlusconi non parla, perché mettersi sullo stesso piano di un pentito che a distanza di quindici anni ritrova finalmente la memoria non avrebbe alcun senso. Lo spiega a margine del Consiglio dei ministri, durante il quale ripete i ragionamenti dei giorni scorsi sottolineando come il suo governo sia «quello che ha fatto di più contro la mafia». Concetto ripreso da Paolo Bonaiuti che ritiene «logico» che Cosa Nostra «utilizzi i suoi esponenti» per attaccare il premier visto che «il nostro governo ha arrestato otto mafiosi al giorno, festivi inclusi».
Il non detto, però, va ben oltre. Perché è chiaro che a Palazzo Chigi nessuno pensa che le inchieste delle procure di Milano, Firenze, Palermo e Caltanissetta siano il frutto solo di una ritorsione della mafia. «Siamo davanti ad accuse così folli e incredibili da essere ridicole», insiste il premier per tutto il pomeriggio. Accuse che arrivano «ad orologeria a 15 anni di distanza» grazie a pentiti che «parlano a gettone». Già, perché secondo il Cavaliere il problema non è certo Spatuzza - che in quanto collaboratore di giustizia «dipende in tutto e per tutto» dai giudici - ma quei magistrati che «danno credito» a «teoremi assurdi» solo per «mettere in scena surreali processi mediatici». Gli stessi - aveva spiegato durante il Consiglio dei ministri - che «vanno in onda in televisione grazie ad Annozero». Anche per questo Berlusconi preferisce non assistere alle dichiarazioni di Spatuzza e si limita a farsi relazionare da Bonaiuti.
Il Cavaliere, insomma, resta convinto che il capitolo mafia sia solo «un tassello» di una «ben più ampia macchinazione» che vede da mesi impegnate alcune lobbies del Paese che vogliono tenere il governo sotto scacco. Così il premier spiega la sequenza di bordate che lo assediano da aprile: dal Noemigate alle foto dentro Villa Certosa, passando per l’inchiesta (archiviata) sui voli di Stato, il processo Mills, la sentenza civile sul Lodo Mondadori e la bocciatura del Lodo Alfano. Il passo successivo - è il tam tam di Palazzo Grazioli - sarà l’avviso di garanzia per mafia. Che alla fine, ragionano nell’entourage del premier, «si rivelerà la solita bufala utile solo a gettare fango su Berlusconi e screditarlo in giro per il mondo». «Pur di sputtanare me - ragionava il Cavaliere qualche giorno fa - sono pronti a sputtanare il Paese e trasformare in una star un uomo condannato per strage».
Anche per questo, dunque, sia durante il Consiglio dei ministri che nel corso del pomeriggio il premier appare ai suoi interlocutori «sereno» e «rilassato». La preoccupazione, infatti, non è certo nel merito dell’accusa che, ragionano a Palazzo Chigi, è una tale «immondizia» che «un giudice serio non l’avrebbe nemmeno verbalizzata». Il problema è invece il crescendo di quello che Berlusconi non esita a definire un «accerchiamento continuo». Anche per questo - oltre che per non trovarsi a replicare alle accuse di un pentito - Berlusconi decide di rinunciare all’appuntamento di Reggio Calabria che l’avrebbe necessariamente portato davanti a telecamere e giornalisti. A parlare, infatti, è il Pdl che fa quadrato intorno al premier fin dalla mattina. Compreso Gianfranco Fini che nel tardo pomeriggio decide di intervenire e parla di «atomica amplificazione mediatica delle dichiarazioni di Spatuzza» che «senza riscontri puntuali e rigorosi restano soltanto parole».
Una presa di posizione netta e per qualche verso inattesa dopo le polemiche sul fuori onda con il procuratore capo di Pescara Nicola Trifuoggi. Parole che arrivano dopo una telefonata tra il presidente della Camera e Gianni Letta e che tra i finiani sono interpretate come una «mano tesa» al Cavaliere. Che incassa la solidarietà senza troppo entusiasmo, visto che a Palazzo Grazioli la sortita di Fini è considerata una sorta di «atto dovuto». Un’uscita su cui Bonaiuti non aveva «alcun dubbio». «Si conoscono dal ’94 - spiega - e Gianfranco sa bene che Silvio è quanto di più lontano ci sia dalla mafia».
Intanto, sulla giustizia continua il lavoro sul fronte parlamentare. La priorità - dice Bonaiuti - resta andare avanti con il processo breve al Senato e, se possibile, insistere anche con il legittimo impedimento alla Camera.
Fini: "Senza riscontri rigorosi le accuse restano solo parole"
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