«È stata la cultura astratta dell’Opera Nomadi a creare i ghetti. Sono loro che hanno sbagliato teoria, hanno fatto una cosa culturalista per cui avremmo dovuto garantire una diversità che per i rom alla fine si è rivelata una condanna a morte». Il giorno dopo la tragedia del campo nomadi di via Novara, dove venerdì notte il piccolo Emil Enea è morto carbonizzato nell’incendio divampato nella sua baracca per colpa di una stufa, il presidente della commissione delle politiche sociali del Comune, Aldo Brandirali ha ancora tutta l’amarezza in bocca per quello che è successo. Il pensiero che forse si sarebbe anche potuto evitare e la consapevolezza che quando muore un ragazzino di tredici anni è sempre una sconfitta, comunque. «I campi nomadi sono condizioni di vita bestiali, inaccettabili. Gli sgomberi fanno parte di un progetto che va verso la chiusura degli accampamenti. Siamo già partiti con Triboniano, con i contratti di responsabilità sociale. Ma bisogna arrivare alla chiusura completa, dobbiamo smantellarli». Brandirali prova a dare anche una scadenza: il primo ad essere eliminato sarà proprio Triboniano, tempo un anno e mezzo. E poi tutti gli altri a seguire entro tre anni. «Nei campi regolari ci sono famiglie nomadi ricche che hanno uno stuolo di schiavi al loro seguito. Non sono condizioni accettabili, questo è il punto». E la sinistra pecca di astrattezza, buonismo e intellettualismo quando si scaglia contro le scelte dell’amministrazione. Quando ogni volta che si tratta di fare uno sgombero, levano gli scudi in segno di protesta. Che puntano il dito contro il Comune tacciandolo di portare avanti soltanto una politica di repressione e d’intimidazione. Accusandolo di fare una caccia al rom per campagna elettorale. Già, ma se il campo di via Novara fosse stato sgomberato, così come aveva detto il sindaco sabato mattina, quel ragazzino sarebbe ancora vivo. «Se non era in un campo, allora non moriva. Sì, ma dov’era? Forse sotto i ponti, o chissà dove». Patrizia Quartieri è consigliere comunale del Prc e a fine novembre, quando è stato smantellato l’accampamento nomadi di via Rubattino, aveva accompagnato i rom in una chiesa lì vicino insieme a un altro consigliere del Pd. Sui rom, su ciò che il Comune sta facendo e ha fatto non cambia idea. «Non è sgomberando che il problema si risolve. Arrivati a questo punto, si deve smettere con questa politica indiscriminata e crudele. Che il Comune, le associazioni, le comunità rom si mettano intorno a un tavolo per cercare delle soluzioni condivise. Basta col dire che non si integrano». Perché sono in molti che ci stanno provando a trovare un lavoro, assicura la consigliera, e anche a fare un percorso di autonomia professionale e abitativa. Certo, poi spesso sono costretti a lavorare in nero, perché nessuno li vuole mettere in regola. Tutta colpa del pregiudizio, invece bisogna andare fino in fondo a vedere come sono davvero questi nomadi.
«I peggiori nemici dei rom sono quelli che li difendono a parole - ribatte l’assessore alle politiche sociali Mariolina Moioli -. Pensano solo a fare propaganda. È troppo comodo fare i buonisti rispetto a chi delinque e non ha rispetto di donne e figli. Qualche volta, volere il bene di una persona, vuol dire fare azioni forti, di legalità». Il campo nomadi, continua Moioli, è nemico dell’integrazione finché al suo interno prevarranno logiche di potere, di sopraffazione e di criminalità. «L’abusivismo va combattuto, e dove ci sono le condizioni di aiuto positivo, ci si prova».
«Mandiamoli via tutti o lasciamoli lì, povere vittime. Raffreddiamo lo scontro politico su questa vicenda. La morte di un bambino non va strumentalizzata». Sono anni che don Colmegna lavora con i rom e nei campi nomadi. E di fronte ad un problema così ammette che nemmeno lui sa bene cosa fare. Ma di una cosa è certo. «L’errore più grande è farne una questione politica.
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