«Sono felice, ho sposato un angelo»

«Ma davvero sono passati due anni dal mio matrimonio con Pia? A me pare di essere sposato da sempre con l’angelo guardiano che Dante, nella sua infinita misericordia, mi ha messo accanto nel momento più cruciale della mia vita, la Pasqua del ’75. Quando, declamando i versi immortali della Commedia, entrai a Santa Croce con la pena nel cuore e ne uscii trasfigurato perché, davanti a me, in prima fila c’era lei con quel suo riso rubato al Beato Angelico».
Giorgio Albertazzi è ispirato. Il suo volto appena trafitto dalle rughe sembra quello di un santo pronto ad affrontare nell’arena l’atroce abbraccio del martirio. «Una prova che Dio mi ha risparmiato - confessa pensoso - concedendomi in extremis la grazia capitata all’eroe romantico per eccellenza, quello col quale da sempre mi identifico, il mitico Tannhäuser che in vecchiaia rinuncia agli amplessi di Venere la sfrontata per ricongiungersi, nella fede, a Elisabetta la santa del pudore e della virtù».
Sarà pur vero, ma non le sembra di contraddirsi?
«E perché mai? È vero che fino a ieri agli occhi di tutti ero l’amante fascinoso e folle. Ma mio malgrado, mi creda».
Possibile? Lei che da mezzo secolo incarna la figura demoniaca dell’eterno seduttore, oggi Don Giovanni, domani Casanova e di recente addirittura il più irriducibile suddito della carne, ovvero Sir John Falstaff?
«Distinguiamo. Io nella vita sono sempre stato non lo spietato arbitro del destino femminile, ma la vittima dell’amore. Sedotto dalla grazia femminile fino a perdermi nei meandri della psiche e della carne di donne stupende che non sempre lasciavo e più spesso mi abbandonavano».
Ma davvero? E dire che Fellini, in «8 e mezzo» fino all’ultimo voleva affidarle il ruolo che poi, per colpa dei suoi impegni teatrali, toccò a Mastroianni. Ciò che mi dice, scusi tanto, è un controsenso bello e buono...
«Niente affatto. Da giovanissimo, quando in Appuntamento con la novella declamavo in televisione i versi d’amore di Gaspara Stampa al cavalier Collatino, la stampa popolare di me coniò l’immagine tenerissima e suadente del nuovo Romeo, l’innamorato fedele di Bianca Toccafondi, l’amore dei miei vent’anni con la quale fuggivo tra il verde delle Cascine travestito da menestrello con la mandola sotto il braccio. Ricorda?».
Sarà, ma poi fu la volta di Anna Proclemer. Che cancellò per sempre quella fugace immagine di innamorato fedele. O sbaglio? «Come mi fraintende, amico mio! Ho amato Anna con lo stesso ardore con cui ho amato Bianca. E forse di più, dato che i nostri amplessi sulla scena a volte assunsero colori persino incestuosi. Dato che lei negli Spettri di Ibsen, non era Regine ma la signora Alving e in Amleto invece di impersonare Ofelia aveva scelto il ruolo di Gertrude ossia di mia madre».
Fatto sta che non sposò né Bianca né Anna o tantomeno l’incantevole americanina Penny Brown per qualche tempo sua compagna fissa. È o non è una contraddizione per chi si definisce vittima dell’amore?
«Le vittime non sono i mariti, ma gli amanti che concepiscono le donne come un magnifico assemblage di onde carezzevoli e insinuanti, simili alle dune di un deserto. Chi le ama finisce per capitolare davanti al loro vento rapinoso che minaccia di distruggerci».
Sarà, ma che dire delle sue allieve d’arte e di vita: Elisabetta Pozzi, Laura Marinoni, Mariangela D’Abbraccio?
«Le ho amate tutte con la stessa intensità. Tanto è vero che appena ho potuto le ho riunite nel più autobiografico dei miei spettacoli, quel Peer Gynt in cui Anna era Dio ovvero Il Gran Curvo arbitro del destino umano, la Pozzi Sovejg, l’amore puro, e Bianca era Aase, la madre/amante, simbolo della vita».
E Pia? Come mai alla fine ha sposato lei?
«Perché Pia, pardon la contessa Tolomei, erede in linea diretta della sublime creatura cantata nel Purgatorio non è una donna come le altre. È una pura essenza metafisica. Chi se non lei poteva giungere al Municipio in veste da amazzone su un cavallo bianco, emblema di fedeltà, la sola che ha capito di trovarsi di fronte a un ragazzaccio discolo innamorato della bellezza ma succube di fronte allo spirito».
Non mi dica che presto la vedremo nei panni di un felicissimo pater familias...


«E perché no? Dopo che Ornella Vanoni, la nostra amica più cara, ci inviò il giorno delle nozze un cd su cui aveva inciso uno splendido song accompagnato dai versi immortali di Leonardo “Muovesi l’amante verso la cosa amata”, tutto è possibile. Dato che, grazie a lei, lo spirito del più grande dei fiorentini ci ha illuminato dall’alto cancellando l’arbitrio ingiurioso del tempo e regalandoci un’eterna giovinezza sotto il cielo di Dio».

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