Cultura e Spettacoli

SONO «MATURI» I CONDUTTORI DEI TG?

Ah, la maturità, che incubo, me la sogno ancora adesso di notte. Quante volte l’abbiamo sentito ripetere da attempati signori che quell’esame l’hanno fatto. Prima del ’68, beninteso, e prima delle varie riforme, grazie alle quali, ribaltando le ferree convinzioni di Pitagora e superando perfino le percentuali bulgare di certe elezioni ostrogote, viene promosso all’incirca il 102 per cento degli studenti. Comunque sia, anche se è ormai diventata un’accertata farsa, non c’è telegiornale che il giorno dedicato all’inizio della maturità non dedichi ampi servizi al tema di italiano.
Forse per mettere a proprio agio quei ragazzi che avessero fatto qualche errore da matita blu, del resto giustificabile di fronte al sommo Dante, la comprensiva conduttrice del Tg5 delle tredici Barbara Pedri, mercoledì ha così esordito: «Ci colleghiamo con Laura Cannavò che LA vediamo sul teleschermo». Da vero gentiluomo, per non far sentire troppo in colpa la bionda collega, l’occhialuto conduttore del Tg1 Paolo Di Giannantonio, mezz’ora dopo, parlando di tutt’altro, ha spiegato: «...una pistola in dotazione DELLE forze di polizia».
Un liceo di qua, un istituto tecnico di là, una prof che ha magnificato con legittimo orgoglio l’opzione dei suoi eruditi allievi: «Il Paradiso è difficile, ma l’hanno scelto quindici studenti su venti». Peccato che subito dopo sia intervenuto un altro maturando che ha risposto testuale all’inviata del Tg1: «Dante? No, non lo conosco». Quasi a voler dire: se lo incontro sulle scale, buongiorno e buonasera, ma niente di più.
A una tremebonda giornalista, evidentemente avvezza a più nobili platee, è scappato di bocca una variazione sul tema: «Il viaggio come metafora della moda, scusate, come metafora della vita». Scuse che si sono ripetute a fine collegamento: «Da Roma è tutto, volevo dire da Milano, è tutto». Che c’è di male a confondersi: in fondo Milano non è la nostra capitale morale?
Non poteva mancare la prima della classe, pronta a immolarsi davanti alle telecamere per illustrare con illuminata saggezza il suo percorso dantesco: l’aggettivo «catartico» l’ha usato una volta soltanto, ma si capiva con quanta padronanza lo maneggi anche nella vita di tutti i giorni. Per esempio alle Poste: «Mi dia un francobollo catartico da 50 centesimi» o dal panetttiere: «Due francesini catartici, per cortesia». La futura Rita Levi Montalcini ha quindi concluso il suo dotto monologo: «Sono stati cinque anni di martirio».

Lo spettatore dei due tg se l’è cavata con meno: cinque minuti di sofferenza.

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