Roma

Il sorpasso dell’Esquilino: più negozi cinesi che italiani

Si tratta nella maggior parte dei casi di show-room di «copertura» e sempre vuoti

Il sorpasso dell’Esquilino: più negozi cinesi che italiani

Claudia Passa

Se finora s’è parlato di un serrato testa a testa, cifre e numeri ci raccontano oggi che il sorpasso è ormai una drammatica, ineluttabile realtà. Parlare di una «Chinatown romana» non è più un esercizio retorico, ma la fotografia di una situazione che gli ultimissimi dati rintracciati dal Giornale sulle attività produttive (si fa per dire) nel rione Esquilino attestano senza possibilità di smentita. Su un nutrito campione di circa 1.200 attività, infatti, oltre un terzo è rappresentato da esercizi riconducibili alla vastissima comunità cinese. Show-room di copertura, nella maggior parte dei casi. Negozi perennemente vuoti, ricavati spesso dal frazionamento di locali mediante tramezze in compensato, una pratica severamente vietata dalle ultime normative sul commercio.
Limitandosi alle «attività produttive» tout-court, il divario è pressoché incolmabile, con 442 esercizi nelle mani dei cinesi e appena 327 gestiti da italiani, con il Bangladesh in terza posizione a quota 74, il Pakistan attestato sui 29 negozi, e a seguire presenze minori come India e Nigeria (16), Libia (14), Israele (3) e Somalia (2). Ma anche analizzando i dati al dettaglio dell’intero settore che riguarda le attività aperte al pubblico, il livello dell’allerta non accenna a diminuire.
Dopo l’allarmante e dettagliato affresco tracciato nelle ultime settimane dal generale Nicolò Pollari, capo del Sismi (la nostra intelligence militare), a proposito della morsa delle triadi e della mafia cinese (definita significativamente «un tumore che non forma metastasi»), suscita infatti seria preoccupazione sapere che su 1.213 attività presenti nel quadrante attorno a piazza Vittorio ben 464 appartengono agli occhi a mandorla. Limitandosi agli esercizi commerciali al dettaglio, la Cina si attesta a quota 420 contro i 396 negozi italiani. Segue il Bangladesh a quota 59, quindi 18 etnie minori (come Pakistan, India, Libia, Nigeria ed Egitto) che non raggiungono i venti esercizi al dettaglio cadauna, ma che sommate alla rappresentanza cinese rendono gli italiani una netta minoranza.
Aggiungendo alle rivendite al dettaglio gli esercizi all’ingrosso, alberghi e pensioni, circoli e associazioni, nonché i servizi di telefonia pubblica, il divario è ridotto ma non colmato, con 432 esercizi gestiti da italiani e 436 da cinesi. Per ribaltare la situazione è necessario sommare al computo banche e farmacie, agenzie di viaggio e servizi immobiliari (in tutto si contano 42 italiani contro solo 3 cinesi), i pubblici esercizi come bar e ristoranti (104 a 25), che vedono i nostri connazionali tener testa, seppur a fatica, all’invasione della marea cinese. La quale sembra poter contare su riserve di denaro pressoché illimitate se è vero che numerose trattative di compravendita o locazione di immobili ad uso commerciale hanno visto gli asiatici prevalere senza possibilità di contrasto in fase di definizione del prezzo, grazie ad offerte spesso di gran lunga superiori ai valori di mercato. Una concorrenza impari, sufficiente a fiaccare la strenua resistenza della minoranza italiana che secondo recenti rilevazioni demografiche presenta all’Esquilino, sotto il profilo residenziale, un indice di vecchiaia il cui valore è quasi il doppio rispetto al resto della città.

Di fronte a una presenza commerciale come quella che vi abbiamo descritto, non c’è di che stupirsi se i giovani preferiscono migrare altrove.

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