«Non so se le ultime indiscrezioni sulla Grecia siano vere, ma di sicuro la reazione dei mercati dimostra che laccordo raggiunto dallEuropa è debole, debolissimo: nientaltro che un effetto placebo». Marco Fortis, docente di economia alla Cattolica di Milano e vicepresidente della Fondazione Edison, non usa mezzi termini per stroncare lintesa di compromesso sugli aiuti ad Atene.
Professore, che cosa avrebbe invece potuto tranquillizzare gli investitori e messo in fuga la speculazione?
«Lemissione di un maxi-eurobond, utilizzando le riserve auree come collaterale di garanzia. Un modo anche per investire in nuova domanda interna a tassi ridicoli rispetto a quelli che verranno pagati in caso di soccorso ai greci».
Quali sarebbero stati i punti di forza di questa operazione?
«Il fatto che lEuropa è la prima potenza mondiale agricola, industriale e turistica, con un basso indebitamento delle famiglie e fondamentali solidi, con leccezione di alcuni Paesi periferici. Soprattutto, leurobond avrebbe restituito unimmagine di coesione. Quellunione, richiamata dallex presidente della Commissione Ue, Jacques Delors, che invece continua a latitare».
Il motivo?
«Egoismi nazionali, interessi elettorali come in Germania. Manca una prospettiva di medio termine, e i mercati lo sanno».
Cè il rischio di unestensione della sindrome greca?
«La situazione è preoccupante, senza dubbio. Ci sono focolai dinfezione che non si possono ignorare. LIrlanda è appesantita da titoli-spazzatura pari alla metà del Pil, di cui sono i contribuenti a doversene far carico. In due anni il Pil pro capite irlandese è sceso di 10mila euro. Quanto alla Spagna, le imprese sono indebitate per cifre superiori al 100% del Pil, le famiglie per l80%. E le banche, in particolare le casse di risparmio locali, sono in uno stato di sofferenza. La Grecia, conti a parte, è un Paese da osservare con un maggior livello di inquietudine perché è uscita da pochi anni da una dittatura. Le tensioni sociali potrebbero scatenare reazioni incontrollabili».
La Cina continua a far shopping in Europa, come dimostra la recente acquisizione di Volvo: non cè il rischio di una colonizzazione?
«È un processo che non mi meraviglia. Gli Stati Uniti, con la caduta del Muro di Berlino, avevano modo di diventare arbitri del mondo. Hanno preferito consegnarlo nelle mani dei cinesi, pur di far profitti. Ora ne paghiamo le conseguenze».
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