Non per nulla è Peppino Di Capri. Cinquantasei anni di carriera. Brani famosi in tutto il mondo. E un tocco di eleganza che, manco a dirlo, anche il nuovo disco L'acchiappasogni conferma senza se e senza ma. «Faccio del mio meglio» scherza lui nel suo studio di Napoli. Anche stavolta, lui che è classe 1939 e suona il piano da quando ha 4 anni, sfugge al luogo comune che lo ingabbia nella melodia più banale e intreccia i ritmi inattesi di Mai mai all'ironia di Come finirà per ricamare un album fuori dal tempo. «Ecco, questo è il mio obiettivo sin da quando nel 1956 ho vinto Primo applauso con Enzo Tortora» conferma sorridendo sereno. Obiettivo centrato. Con una piccola critica a margine: «Non sono mai stato fissato per le novità a tutti costi. Oggi invece...».
Oggi invece, caro Peppino Di Capri?
«Pensano solo a quello. Per carità ben vengano le novità, eh, mica le nego. Ma siamo italiani e le nostre radici sono queste. Basta guardare all'estero con servilismo cieco. Sa cosa disse una volta Vinicious de Moraes?».
Che cosa?
«La vostra musica per noi è come la vostra per noi. I brasiliani sono complicati, voi semplificate tutto mantenendo inalterato il concetto. Perciò mi sono sempre chiesto per quale motivo noi italiani cerchiamo l'ispirazione a tutti i costi fuori dall'Italia».
E il risultato qual è?
«Corriamo alla ricerca di un finto rinnovamento cercando di scimmiottare americani ed inglesi per vendere qualche copia in più. Ora oltretutto tutti i giovani si copiano uno con l'altro, è una corsa al successo forzato che chissà dove potrà mai portare».
Detto da uno che ha suonato con i Beatles nel 1965
«Sa che cosa mi ricordo di quel concerto? Il livello tecnico. Noi non eravamo abituati a quei volumi. Da allora abbiamo iniziato a sfondare gli amplificatori anche noi italiani...».
Sì va bene. Ma la musica?
«Che cosa ne pensassi allora lo dimostra anche oggi un brano del mio nuovo disco: Sopravviverò , che ricorda molto le atmosfere dei Fab Four. I Beatles avevano cromosomi innovativi che continuano a essere importanti anche oggi».
A proposito: Peppino Di Capri ha debuttato 56 anni fa.
«E studiavamo musica con una passione inaudita. Ad esempio in St Tropez twist ci sono sonorità in mono che ancora oggi fanno paura tanto sono coraggiose».
È stato un successo del '62...
«Non sono mai stato solo quello che vestiva giacche di lamè per il night club».
Ma a qualcuno sfugge.
«Faccio ancora molte serate e sono appena stato a suonare molti concerti in Brasile dove mi hanno accolto come una star».
In Italia le ci vorrebbe un programma tv.
«E io mi sono proposto, ma la Rai sembra non volermi ascoltare. Potrei fare un one man show in stile Gianni Morandi. In fondo lui ha solo cinquantadue anni di carriera, ben quattro meno di me». (sorride divertito).
Morandi ha presentato due Festival, lei ne ha vinto due.
«Nel 1973 e nel 1976. Ero rinato dopo la crisi post Beatles. Alla fine degli anni Sessanta era cambiato il mondo e mi sono detto: e io che cosa ci faccio qui? Alla gente piacevo di meno e anche i miei cachet erano diminuiti. Mi ero accorto che uscivo a cifre molto meno pazzesche di pochi anni prima. Allora mi sono messo un po' da parte, ho fatto qualche data all'estero. E ho riflettuto un po'. Poi sono ripartito».
Come?
«Ho fondato la mia casa discografica, la Splash, e pian piano ho ritrovato la strada giusta. E ora sono soddisfatto: se uno ascolta la mia discografia trova di tutto, dal twist al rock al jazz al pop».
Potrebbe tornare al Festival di Sanremo, lei è recordman di presenze: quindici.
«Siamo in tre: oltre a Milva e me, c'è pure Toto Cutugno. Ma non vale perché la sua quindicesima volta era da ospite con l'Armata Rossa, non in gara». (sorride amabile).
Basta tornare all'Ariston per diventare recordman assoluto.
«E difatti a Carlo Conti ho presentato un brano che si intitola Le canzoni d'amore . Lui l'ha ascoltato e ha detto: Ma è molto peppiniano».
E lei che cosa ha risposto?
«Scusa avrei dovuto cantarlo alla Vasco Rossi?».
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