L'altro Abraham Lincoln. Quello tragico, quello oscuro, quasi shakespeariano. Quello che, la sera del 14 aprile 1865) rantola come in un'orribile e sanguinaria parodia delle idi di Marzo, accasciandosi, ferito a morte, nel palco presidenziale del Ford's Theatre. Il tutto mentre l'attore John Wilkes Booth urla verso il pubblico terrorizzato e attonito: «Sic semper Tyrannis» (la frase attribuita a Bruto nell'uccidere Cesare e il motto dello Stato della Virginia). Ecco cosa vedrete in Killing Lincoln, la docufiction prodotta da Ridley e Tony Scott e con Tom Hanks come narratore, che andrà in onda sul National Geographic Channel oggi alle 21 (piattaforma Sky, canale 403).
Nell'anno della Lincoln mania scatenata dal film di Spielberg i fratelli Scott hanno voluto partecipare anche loro al gioco portando sullo schermo il controverso libro di Bill O'Reilly (una delle migliori penne del conservatorismo americano) e Martin Dugard, Killing Lincoln: The Shocking Assassination That Changed America Forever (Il volume è rimasto ai piani alti della classifica del New York Times per 60 settimane).
E se lo sforzo di Spielberg è stato quello di rendere filmico il Lincoln più politico quello della produzione del National Geographic è stato di cristallizzare uno dei momenti più convulsi della storia americana e di rallentarlo, mettendo sotto la lente dello storico ogni minimo dettaglio. E in effetti ci sono riusciti. Dal racconto escono chiarissimi tutti i retroscena di quella che fu una vera e propria congiura. Lincoln non era, infatti, il solo bersaglio degli attentatori. John Wilkes Booth (interpretato da Jesse Johnson, figlio di Don Johnson) e i suoi complici, Lewis Powell e George Atzerodt, avevano progettato di colpire anche il Segretario di Stato Seward, che venne aggredito in casa da Powell (Seward restò ferito con molti membri della sua famiglia), e il vicepresidente Johnson (che restò illeso per la defezione di Atzerodt).
E da questa ricostruzione puntigliosissima esce un immagine di Booth molto meno piatta di quella tradizionalmente tramandata dai libri di storia. Non un folle o un attorucolo frustrato, quanto piuttosto un uomo dal carisma magnetico incapace di adattarsi ai tempi nuovi. Un istrione che vedeva nel gesto eroico l'unica possibilità di riscattare il Sud. Andò però in tutt'altro modo: tanto la figura di Lincoln fu controversa in vita tanto la sua morte violenta contribuì alla sua santificazione. Il dolore disperato della vedova Mari Todd Lincoln - nel documentario interpretata dalla bravissima Geraldine Hughes (Gran Torino, Rocky Balboa)- la prima morte violenta di un presidente Usa, la ferocia della cospirazione finirono per accelerare la riunificazione del Paese.
Lincoln, che da mesi sognava la sua morte e poco faceva per schivare gli attentati, non avrebbe potuto desiderare di più.
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