Fresco vincitore ai Bafta e forte di ben 9 Nomination per la serata degli Oscar 2014, arriva nelle sale italiane 12 anni schiavo, a completamento di una ideale trilogia hollywoodiana sulla schiavitù che comprende i precedenti Lincoln e Django Unchained. Modi e tagli diversi di affrontare quello che sembra essere considerato il peccato originale di una nazione che fa ancora fatica ad assorbirlo, guardarlo negli occhi, elaborarlo. Che sia stato scelto Steve McQueen per dirigere questo film, non è un caso, essendo il suo un cinema prevalentemente di «privazione», come testimoniano i suoi precedenti Hunger e Shame. E la vicenda vera e kafkiana di Solomon Northup, raccontata, a volte in modo troppo didascalico, in altre fin troppo crudo, è esemplare da questo punto di vista.
Siamo nel 1841 e a New York vive, con moglie e due figli, Solomon (Chiwetel Ejiofor), un musicista nero e, soprattutto, un uomo libero. Con l'inganno, finisce a Washington dove, dopo essere stato drogato, viene venduto come schiavo a un trafficante di uomini (Giamatti). È l'inizio di un calvario che durerà dodici anni e che lo vedrà passare da «padroni» con un briciolo di umanità (Cumberbatch) ad altri sadici e degenerati (Fassbender), tra tanti colpi di frusta e violenze psicologiche, mostrati senza sconti (emblematica è la scena del cappio, con Solomon che, in punta di piedi per non soffocare, aspetta per ore che il padrone decida sulla sua vita). Per sua fortuna, sarà aiutato da un abolizionista canadese (Pitt) che, con un atto di coraggio, metterà fine all'incubo restituendolo alla sua famiglia e dignità.
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