All'inizio della saga, c'è un immigrato negli Stati Uniti. Henry Lehman, allevatore di bestiame, ebreo bavarese, sbarca a New York l'11 settembre 1844. Alla fine della saga, ci sono gli impiegati della banca d'affari Lehman Brothers che fanno gli scatoloni e se ne vanno. Hanno perso il lavoro, causa fallimento dell'impresa. È il 15 settembre 2008. In mezzo ci sono le irresistibili ascese di una dinastia, i Lehman, e di un Paese, gli Usa. Le racconta Stefano Massini in Qualcosa sui Lehman (Mondadori, pagg. 774, euro 24), un originale romanzo in forma di ballata da cui è stato tratto lo spettacolo teatrale Lehman Trilogy. Su quest'ultimo, un successo internazionale, tutto è stato detto. Chi avesse la fortuna di trovare un biglietto, può vederlo in questi giorni al Teatro Piccolo di Milano, istituzione di cui Massini è anche consulente artistico (vedi box in questa pagina). Il libro presenta alcune differenze con lo show. La pièce è circa un terzo del romanzo, che aggiunge molte vicende.
Qualcosa sui Lehman è la storia di più generazioni di imprenditori-banchieri e del passaggio da un negozio di vestiti dell'Alabama a una potente banca di Wall Street, New York. Dal commercio di cotone al dettaglio al commercio all'ingrosso. Dal commercio all'ingrosso alla distribuzione vera e propria. Dalla distribuzione al credito per le imprese. Dal credito per le imprese alla finanza spericolata che scommette sulle oscillazioni del mercato. Che poi è il passaggio dalla concreta materia prima alle speculazioni sul denaro immateriale con il quale si gioca in Borsa. Sulla condanna delle degenerazioni del capitalismo, conviene anche il liberista convinto. Massini mette in scena una dialettica anche accesa all'interno della famiglia Lehman tra chi vorrebbe restare ancorato a un modello più tradizionale (l'economia reale, si direbbe oggi) e chi, speculando, vuole massimizzare i profitti, a rischio di rimetterci le penne. Vincono sempre questi ultimi, ai quali piace «il frusciare della banconota/ quasi invisibile/ quasi impercettibile/ che tuttavia diventa frastuono/ se lo immagini su scala mondiale». La vicenda suggerisce che l'ottima premessa contenesse già il pessimo epilogo: il capitalismo, essendo fondato sull'avidità, tende a gonfiarsi per poi esplodere come una bolla. È successo nel 1929 e i Lehman si sono salvati alla grande. È successo di nuovo nel 2008 e la Lehman Brothers ha dichiarato bancarotta. Qui forse il liberista avrebbe qualcosa da obiettare, non è detto ad esempio che i soldi siano l'unico scopo a ispirare e regolare le nostre azioni, ma la ballata di Massini non è manichea e troppo ideologica. Infatti, per molti anni e per molte pagine, i Lehman, arricchendo se stessi anche con cinismo, arricchiscono la nazione intera e sono un motore dello sviluppo. È quando iniziano a commerciare denaro, se così si può dire, che le cose cambiano.
Comunque non siamo di fronte a un pamphlet ma a un'opera letteraria. La suggestione dei versi dà forza alle parole, isolandole, e permette cambi repentini di ritmo. Massini sperimenta sul vocabolario, sulla iterazione di alcuni passaggi chiave, sulle lingue (yiddish, soprattutto), sull'aspetto della pagina (corsivi, grassetti, colori, corpo dei caratteri), sulla contaminazione (canzoni, cinema, teatro) e sul tono (prevalente l'ironia). Talvolta il gioco è ripetitivo e un po' stucchevole, il che poco toglie alla bellezza del libro. La storia è magnifica e si addentra in un tema bollente. I personaggi, tantissimi, sono sempre ben scolpiti. Massini racconta dal suo punto di vista senza irrompere sulla scena. Quanto al lettore, quello liberale, sentendosi provocato con garbo, non potrà fare a meno di pensare come sarebbe stata raccontata la saga dei Lehman da uno scrittore entusiasta del mercato.
Subito dopo non potrà fare a meno di chiedersi come mai non esista, in questo Paese e in molti altri, uno scrittore entusiasta del mercato: dopo aver cercato figure di eroici capitalisti in tanta letteratura contemporanea, senza trovarne di memorabili, si torna sempre alla solita Ayn Rand, alla Fonte meravigliosa e alla Rivolta di Atlante. Eppure, a volte, per convincere della bontà di una causa, conta più una riuscita opera d'arte di una pila di saggi.
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