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«Basta tristezza i nostri modelli sono band come i Queen»

Ecco qua un caso di catalogazione artificiale. Dunque stiamo parlando dei My Chemical Romance, band del New Jersey che in qualche anno è diventata eroe degli adolescenti a base di un rock chiaramente sprofondato nei Queen, nei primitivi Iron Maiden del Ruskin Arms e nei Misfits o persino nella scintillante depressione di Morrisey. «In effetti questi sono i nostri punti di riferimento», spiega Frank Iero, chitarrista agile che dopotutto sembra davvero aver ascoltato molto Adrian Smith degli Iron Maiden. Però per l’universo mondo, i My Chemical Romance - che il 7 marzo saranno al Palasharp di Milano - sono sostanzialmente “emo”, ossia un genere che non esiste perché assorbe le caratteristiche di altri, come il pop punk o l’indie rock o l’heavy metal, e ci aggiunge soltanto un look particolare che in Italia è stato parodizzato (bene) a Zelig e che comunque è diventato meta frequente per stilisti e vignettisti in giro per il mondo. Insomma, un cliché. E come tutti i cliché, all’inizio non crea polemiche. Poi scatena la fuga. E così i My Chemical Romance, che hanno un cantante come si deve, pieno di presenza scenica e forse un po’ meno di estensione vocale, provano giustamente a riprendersi la propria identità. «Non ci siamo mai sentiti portavoce di qualche stile particolare - spiega Iero -. Noi suoniamo e basta. E qualche volta, come nel disco The black parade, siamo più introversi e meno luminosi. Ma nella nostra carriera ci stanno bene anche dischi come l’ultimo Danger days: the true lives of the fabulous killjoys che parla di felicità e comunque risente di un influsso energico estremamente positivo». Ed è per questo che dal vivo questi ragazzi americani riunitisi sulle ceneri del World Trade Center (il cantante Gerard Way ha assisto in prima persona al crollo) piacciono ancora più che sul disco: perché sono rock, non hanno cliché e ridanno nuova vita a uno stile che morfologicamente sembra passato e invece no. Agli under 30, specialmente a quelli annebbiati dagli eccessi di tecnologia di tanta musica, piace comunque godersi un bel gruppo che accende gli amplificatori e schitarra senza imbarazzi, inserendosi in una scia che è stata aperta una quarantina di anni fa ma che tuttora ha un bel po’ di energia da vendere. «Noi facciamo così, saliamo sul palco e il grido del pubblico ci carica a mille. Perciò è difficile sentirsi catalogare in un genere preciso. Noi siamo rock e il rock si può intendere alla vecchia maniera oppure in quella nuova. Ma è comunque rock». E in tutto questo calderone, i My Chemical Romance infilano anche quel gusto fumettistico che deriva direttamente dall’horror, dalla teatralità underground e dal fantasy, quello che ha solo scopo: stupire. Nient’altro. «Mi piace ripetere che noi non possiamo essere incasellati in nessuna categoria. Forse nessun gruppo può esserlo.

La musica è così libera che non accetta categoria. E se proprio non ci credete, veniteci a vedere dal vivo». E già solo questo invito, così irrituale per una band di trentenni, vale più di un biglietto da visita a caratteri cubitali. Fidatevi.

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