Che fascino i perdenti delle praterie Usa

Il festival chiude in bellezza. Commuove e strappa applausi il debutto dei fratelli Alan e Gabriel Polsky. La loro pellicola, The Motel Life, è l'ultima opera in concorso e aumenta decisamente il tasso autoriale delle opere selezionate. Il film è una classica storia della frontiera americana. A metà strada tra Bob Dylan e Raymond Carver, racconta la vita di due fratelli rimasti orfani ancora adolescenti e costretti dalla sorte avversa a consumare la loro vita ai margini della già marginale prateria americana. Emile Hirsch (In to the wild) e Stephen Dorff (protagonista di Somewhere di Sophia Coppola) danno credibilità e umanità a due paradigmatiche figure di perdenti che, tuttavia, non perdono mai la speranza di riscatto. È questo fil rouge, che percorre tutta la pellicola, a farne un piccolo capolavoro. I fratelli Polsky giocano con intelligenza tutte le carte a loro disposizione (una computer grafica efficace, dialoghi intensi, una fotografia realistica ma non priva di fascino) per questa traduzione in immagini dell'omonimo romanzo (già oggetto di culto in America) di Willy Vlautin (una sorta di Vinicio Capossela d'oltreoceano).
Dopo un maledetto incidente i due fratelli sono costretti a fuggire dalla città in un viaggio nella provincia americana, piena di figure di perdenti che non rinunciano però a lottare per avere un loro spazio nella vita. Orfani di genitori, i due fanno famiglia a sé. Bravo a disegnare, Jerry Lee (Dorff) illustra le storie del fratello Frank che ha una immaginazione anche più grande della sua e che la usa per lenire le ferite della loro vita «maledetta».

Un destino che ben si compendia nella frase chiave del film quando il maggiore dei due rassicura l'altro, disperato per aver scoperto che la sua fidanzata è stata costretta dalla madre a prostituirsi: «Siamo perdenti e non possiamo non stare che con altri perdenti». Eppure non si cade nel pessimismo. Non è una pellicola nichilista, tantomeno moralista.

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