Con lui è tutto semplice. Non ci sono tappeti rossi. Non c'è il divo. Non c'è la noia del grande attore stanco del mondo e delle sue illusioni. C'è Giancarlo Giannini, un settantenne che sta pensando a cosa farà da grande, perché il suo domani è ancora tutto da scrivere. C'è un film, Ti ho cercata in tutti i necrologi, in cui ha messo i suoi soldi, dove fa il regista e l'attore, e una trama che si porta a spasso da tutta una vita. «Tanti anni fa, erano gli anni '70, un signore a cena mi raccontò che in Africa facevano la caccia all'uomo. Da lì cominciai a elaborare la storia di un tassinaro italiano che scappa in Canada e lavora in un'impresa di pompe funebri. Il suo sogno è comprarsi la macchina di lusso». È così, inseguendo certi sogni, che ti giochi tutto, magari a poker, magari in una villa in Canada, magari con gente che è più furba di te. E capita che perdi, di brutto. Perdi tutto. All inn. A quel punto per pagare i debiti, e quelli di gioco si pagano sempre, accetti una proposta assurda, disumana. C'è un gioco per ricchi, una caccia all'uomo, in luoghi più o meno esotici come gli scenari di un videogame e la sfida del tassista è sopravvivere, perché i ricchi cacciano e lui è la preda. Ogni volta che sopravvive un altro quadro, più difficile, più cinico, fino a quando non scopri che la donna di cui sei innamorato è li per conoscerti, come un entomologo. Lui, Giannini, a un certo punto ti avverte: «È un thriller, non vorrai mica svelare il finale?». No, non è il caso.
Questa intervista comincia con un telefonata. Ti dice. «Ci vediamo per un caffè, qui a Roma. No, non al bar. Nell'ufficio di Vittorio Squillante a Prati». L'ufficio dell'avvocato Squillante è a porte aperte. C'è il tuo amico Luigi Vacana, ufficio stampa di Giannini. Arriva Stefano Veneruso, nipote di Massimo Troisi, regista e sceneggiatore che ha lavorato e con Mel Gibson e Riddley Scott. Stanno preparando il premio Troisi a San Giorgio a Cremano. Ogni tanto qualcuno entra e esce. Sembra un palcoscenico teatrale. Giannini sorride: «L'avvocato potrebbe raccontarti tutto il cinema che sta fuori dalla macchina da presa. Un giorno lo farà. Vita e miracoli di un procuratore di stelle».
Sembra un videogame
«Che?»
La sceneggiatura del film.
«Non mi dispiacerebbe. Significa che sto guardando avanti. Un videogame incassa più di un film. Almeno così mi dicono. O forse è il cinema che sta invecchiando male».
È una trama poco italiana.
«È una bella storia. Così vera che sembra non abbia nulla di realistico. Ma il realismo è un bluff all'italiana. Lo sai cosa mi diceva Rossellini? Tutti con questa rottura di scatole del neorealismo. Io, diceva, non ho fatto film neorealistici. Prendevo attori dalla strada perché non potevo permettermi quelli di Hollywood. Rossellini cercava la leggerezza con gli ingredienti che aveva a disposizione. Stesso discorso per De Sica. Spielberg si stupì quando gli feci i complimenti per la scena finale di E.T. Non capiva. Disse: ma è copiata da Miracolo a Milano. Io ho solo tolto le scarpe e messo la bicicletta».
Così sembra facile.
«Il cinema è facile. Ma facile non significa fatto male. Io sono un perfezionista. Se cucino un piatto di spaghetti devono essere perfetti, se no che li faccio a fare. E le cose perfette devono essere semplici. Questo vale anche per le teorie scientifiche, perché se sono troppo complicate significa che ti stai arrampicando sugli specchi, che metti delle pezze per camuffare i tuoi errori».
Questo vale anche per gli attori?
«Vale per il cinema. La dote migliore dei grandi è la semplicità. Marcello, Marcello Mastroianni, mi ricordava sempre una cosa. Gianca' non devi pensare troppo alle scene. Tu ti devi solo divertire. Se ti divertì tu, si diverte anche il pubblico. Prendi Fellini. Tutti a interrogarsi sul senso dei suoi film. Per Federico invece fare cinema era solo preparare un piatto grasso, saporito, pieno di meraviglie e con lo spirito di un bambino. I sogni sembrano complicati, ma solo se vuoi interpretarli. Lasciati invece portare dai sogni. Vivili. Assecondali. E vedrai che tutto torna».
Giannini, il pipistrello. Non dormi mai?
«Dormo poco. Quando fai l'attore s'imparano dei trucchi per gestire il proprio corpo. Quello per restare svegli l'ho appreso da Mircea Eliade che in Tecniche dello Yoga narra di come certi predoni del deserto abbiano imparato a dormire poco per spostarsi velocemente. Io ho fatto lo stesso, perché più tieni gli occhi aperti più vivi. E noi già sprechiamo l'esistenza con convenzioni idiote, carriere inutili, servilismo verso qualcuno o qualcosa. E poi la notte è il momento in cui posso stare da solo. Non c'è nessuno che mi rompe le scatole. Sono le ore che dedico a me stesso».
E che fai?
«La notte? La notte sono libero. Se voglio farmi un piatto di pasta non devo dare spiegazioni a nessuno. Penso. Leggo. Mi interrogo. Invento».
La seconda vita di Giancarlo Giannini. L'inventore.
«Faccio l'attore per caso. Per formazione sono un perito elettronico industriale e avrei dovuto fare quel mestiere se non fosse stato per un amico che a 19 anni mi convinse ad iscrivermi a un corso di recitazione. Ma ho comunque vissuto la carriera dell'inventore: ho progettato, brevettato e sono stato in Cina e negli Stati Uniti per far realizzare i miei apparecchi».
L'attore è voce o volto?
«Il vero segreto del cinema è il silenzio. È l'intensità della pausa».
Detto da un doppiatore suona strano.
«Lo so. E penso anche di essere piuttosto bravo. Ma il cinema perfetto per me è quello muto».
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