A Roma, «fondazione» è una parola che sta di casa. Dai tempi di ab Urbe condita, come ci hanno insegnato alle medie inferiori. Ma quella presentata ieri in pompa magna è una fondazione che, a rigor di logica, non sta in piedi. È la Fondazione Teatro Valle. Non sta in piedi perché a milioni di persone suona, se non come un esproprio proletario (essendo infatti molto borghesi e poco bisognosi i beneficati), almeno come l'occupazione di un palazzo di periferia: noi entriamo, tanto voi non potete sbatterci fuori... Dopo 27 mesi di puro e semplice comodato d'uso, con il Comune che, obtorto collo, paga le bollette, 27 mesi scanditi dai molti artisti ospitati e dai molti soci coinvolti, Stefano Rodotà&Co. esultano per il «nuovo modo di rapportarsi partecipato tra cittadini e istituzioni». Un «modo di rapportarsi», in verità, leggermente sui generis visto che, argomentano i suddetti milioni di persone, in questo caso proprio chi dovrebbe assicurare la legalità sotto forma di possesso dell'intera comunità (non ultimo il ministro dei Beni culturali Bray), ha deciso di legittimare l'appropriazione effettuata da alcuni. I quali alcuni, fra l'altro, hanno raggranellato 143mila euro.
Ed è per questo che il collo del Comune, benché passato da Alemanno a Marino, continua a essere obtorto. Quei soldini non potrebbero essere la base di una bella, sincera e democratica cassa comune per acquistarlo, il Teatro Valle? È un'idea vecchia come il mondo, risale ai tempi di ab Urbe condita...- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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