"Così do vita al poliziotto cattivo in lotta contro il cartello di Cali"

L'attore cileno racconta cosa aspettarsi dalle nuove puntate: «Escobar era un re, ora invece c'è il caos»

"Così do vita al poliziotto cattivo in lotta contro il cartello di Cali"

Pochi minuti prima della premiere incontro Pedro Pascal al Four Seasons. Al contrario del suo personaggio, l'agente della Dea Javier Peña, taciturno texano di origini ispaniche, parla tantissimo. Di persona somiglia più a Oberyn, l'esuberante principe che interpretava in Game of Thrones, mentre mangia biscotti e divaga volentieri in inglese e spagnolo infilandoci qualche parola in italiano.

Nella serie reciti in spagnolo e in inglese, ma questo mix linguistico, oltre a essere una caratteristica del tuo personaggio sembra essere una cifra fondamentale per il successo di Narcos.

«All'inizio credo che avessero in mente una serie in inglese, poi, usando attori latinos, hanno pensato che fosse un peccato non farli parlare in spagnolo, ed è stato fondamentale perché è l'aspetto più evidente, il primo che noti, che ti fa capire quanto rispettiamo l'autenticità del Paese che raccontiamo e della sua storia».

A proposito della Colombia, Narcos ne fa un ritratto fedele?

«Ci ero stato in vacanza coi miei genitori quando avevo 13 anni, e non avevo la più pallida idea dei problemi del Paese, ma in questi anni che ci sono stato tanto per girare la serie mi sono reso conto di quanto sia accurata la ricostruzione delle contraddizioni colombiane che raccontiamo. Personalmente, però, non mi sono mai sentito in pericolo qui. Come dovunque, c'è una grossa parte di vita normale. Poi certo, se sei uno che va in cerca di guai ne trovi più che altrove, dipende tutto dal punto di vista».

In questa terza stagione è diventato il tuo punto di vista quello da cui viene raccontata la storia, un bel cambio di prospettiva.

«Il mio personaggio è cresciuto molto, e ho lavorato duramente coi produttori creativi di Netflix per trovare il tono giusto della nuova voce fuori campo delle puntate, soprattutto perché il mio personaggio, al contrario di me, non è esattamente un chiacchierone».

È più un tormentato bevitore ossessionato dalla lotta al narcotraffico, sarà diverso per lui affrontare il cartello di Cali?

«Pablo era un re, e quindi nelle prime due stagioni io dovevo combattere un solo re, Cali è come un'oligarchia, è più complicato ancora, ma tutta questa terza stagione è molto più complessa, come è complessa la situazione colombiana e quella generale del narcotraffico».

Cosa pensi di quelli che dicono che Narcos rischia di esaltare le figure dei trafficanti e l'uso di droga?

«Netflix porta questa serie meravigliosa in tutte le case. Ma non è che in tutte le case ci sono potenziali narcotrafficanti. I cattivi possono essere affascinanti nella fiction. Ma non è che se ti innamori di Hannibal Lecter ne Il silenzio degli innocenti poi diventi un cannibale. Sulla droga, che dire? Qualcuno sta sicuramente pippando cocaina in questo quartiere proprio in questo momento. Probabilmente anche nella stanza accanto. Una cosa che dovrebbe essere chiara a tutti è che non si deve criminalizzare il consumatore, perché il consumo è un problema sanitario, non un crimine e ma poi io che ne so, sono solo un attore!».

Un attore famoso in tutto il mondo grazie a Narcos. Ma il tuo ruolo trampolino è stato quello di Oberyn in Game of Thrones. Che ne pensa l'attuale agente Peña del finale della sua ex serie tv?

«Anche se in Narcos sono un

poliziotto sai bene che non sono proprio ligio alle regole. Perciò, dal momento che non ho ancora visto il finale di Game of thrones perché ero in aereo, ti avverto: se ti scappa uno spoiler come dite voi italiani? Ti ammazzo!».

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