Quando, dopo che l'avevo cercata per mesi, Margot Wölk - la donna cui è ispirata la protagonista de Le assaggiatrici - è morta, ho pensato che non avrei mai potuto scrivere di lei e della sua vicenda. Eppure quella vicenda continuava a girarmi in testa, non c'era modo di liberarsene se non attraverso la scrittura.
Mi sono chiesta come fare. Avrei potuto raccontare il nostro mancato incontro, oppure mettere in scena un corpo a corpo tra me, nata nel 1978 in Italia, e questa donna, nata nel 1917 in Germania, una donna che aveva vissuto il nazismo diventando complice di quel sistema disumano. Avrei potuto indagare le mie personali ossessioni attraverso di lei, scrivendo un'opera di narrative non fiction, à la Carrère (ma c'è già Carrère a farlo, ed è inimitabile), o come ha fatto Binet in HHhH.
Poi ho capito che per una scrittrice come me la sfida maggiore sarebbe stata provare a costruire un romanzo d'invenzione che fosse il più «romanzesco» possibile. Dovevo provare a pensare come una tedesca che aveva 26 anni nel '43, una ragazza affamata dalla guerra, con la casa bombardata e il marito al fronte, una che tenta di sopravvivere rischiando di morire a ogni pasto. E dovevo farlo usando un narratore - anzi una narratrice - in prima persona, a differenza di quanto accadeva nei miei romanzi precedenti.
Poi c'era la lingua. La lingua scelta per un libro deve aderire il più possibile alle intenzioni di quel libro, cioè non esiste stile separato dal contenuto. La difficoltà, nel mio caso, era cercare una lingua che mi consentisse di restituire l'ambivalenza di una donna vittima e complice che racconta da un tempo in cui non ha più alcun alibi, non può più dire: «Non sapevo». Ma per non essere ideologica e giudicante, per rappresentare davvero quella contraddizione, dovevo anche raccontare gli eventi come fossero «in presa diretta», sebbene al passato remoto, perché il lettore si sentisse accanto alla protagonista e vivesse la condizione che viveva lei, perché si trovasse di fronte all'impossibilità di scegliere e sentisse su di sé la condanna dell'istinto di sopravvivenza.
Avrei voluto fare molte domande a Margot Wölk e mi spiace che non sia successo.
A volte però penso sia stato meglio incontrare non una persona in carne e ossa, ma una voce - la sua - che testimoniava una condizione umana tanto singolare quanto universale, tale da scoperchiare le mie ossessioni e spingermi a coagularle in una storia che potesse parlare a più persone possibili.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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