da Cannes
Alla presentazione ieri di Plein soleil (Delitto in pieno sole), il film di René Clément ora restaurato, che lo lanciò nel cinema, Alain Delon c'era. E c'è stata la solita ovazione pubblica. Eppure, come attore, il Festival non lo ha mai premiato, e la cosa è strana, e vale la pena approfondirla.
Il fatto è che c'è un complesso e complicato rapporto fra lui e la Francia, un misto di ammirazione e di invidia, se non di amore e odio. Avendo avuto tutto, non gli si perdona niente. Fosse stato meno bello, se ne sarebbero spiati con meno avidità i guasti del tempo; fosse stato meno bravo, se ne sarebbero sottolineati con meno acrimonia gli infortuni artistici; fosse stato meno intelligente, gli avrebbero rimproverato con meno astio dichiarazioni pubbliche e private.
Va da sé che, replicando colpo su colpo, Delon non ha mai fatto nulla per facilitare le cose. L'insoumis, il non sottomesso, ovvero Il ribelle, era il titolo di uno dei suoi film più belli, e più che un film o un titolo è una dichiarazione di intenti, il manifesto di una vita.
Arrivato a settantasette anni, Delon è uno che, per sua stessa ammissione, ha sempre pensato al passato. «Il passato mi abita. Il presente è adesso e il futuro è la morte». Nel 1964, quando non aveva ancora trent'anni e recitava da appena sette, Henri Langlois, il mitico direttore della Cinémathèque di Parigi, gli aveva già consacrato una retrospettiva. Alle sue spalle c'erano Delitto in pieno sole, appunto, Rocco e i suoi fratelli, L'Eclisse, Il Gattopardo, Colpo grosso al casinò, Crisantemi per un delitto e Il ribelle di Algeri, registi come Marc Allégret, René Clement, Luchino Visconti, Michelangelo Antonioni, Henri Verneuil... Poi verranno Jean-Pierre Melville, Louis Malle, Jacques Derai, Pierre Grenier-Deferre, Joseph Losey, Valerio Zurlini, José Giovanni, Edouard Molinaro...
Delon è l'attore che cerca di fare con Sam Peckinpah L'uomo a cavallo, dall'omonimo romanzo di Drieu La Rochelle; che da produttore si affida a Molinaro per poter interpretare il Pierre Miox di L'homme pressé, dal romanzo omonimo di Paul Morand; che quando Melville va da lui con la sceneggiatura di Le Samurai, ovvero Frank Costello faccia d'angelo, lo porta nel suo studio e gli mostra i tre unici oggetti che lo decorano: una lancia, un pugnale, una katana imperiale...
È quello che durante il Maggio francese recita al Théâtre du Gymnase Les yeux crevés di Jean Cau, l'ex segretario di Sartre, e si rifiuta di sottostare al diktat dei contestatori che pretendono il giù al sipario in tutta la città. È quello che, in seguito, comprerà all'asta il manoscritto originale dell'appello lanciato il 18 luglio del 1940 dal generale de Gaulle e ne farà dono all'Eliseo. È ancora quello che, un quarto di secolo dopo, renderà omaggio al François Mitterrand che lascia la presidenza, con una lettera aperta in cui si firma «un saltimbanco di destra»... Se questo è Delon, quel misto di amore e odio di cui all'inizio si è accennato, ha anche il suo bravo carico di ideologia.
Qualche anno fa ha venduto all'asta la sua prestigiosa collezione di arte moderna, e dichiarato che non avrebbe più collezionato alcunché. «Non c'è più tempo. Non ne provo il bisogno, non ne vedo la ragione» spiegò. L'unico artista, forse, per cui ancora oggi potrebbe fare una pazzia, è Géricault, il pittore febbrile, ossessionato e ossessivo di La zattera della Medusa, il dandy che si immolò sulle sue tele. «È una pittura che mi corrisponde, con la sua vita, ma anche con la sua morte». Il pittore della decadenza dei corpi e della mente, del gelo che si insinua nell'anima e la svuota, del silenzio che la circonda.
In Les Acteurs, di Bertrand Blier, una specie di omaggio-parata del cinema francese, uscito nel Duemila, Delon appare per appena quattro minuti, di notte, l'unico dei «mostri sacri» presenti (Belmondo, Depardieu, Piccoli, Serrault, per citarne solo alcuni) a essere in scena senza comprimari, la folla che lo osserva. «Forse sarebbe meglio fare qualche minuto di silenzio» dice. «Io sono l'uomo del silenzio. Ho un volto da silenzio».
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