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Dalla disillusa Gloria alla dispersa Bullock donne appese al nulla

I film più discussi del momento raccontano paure e solitudini femminili, paradigmi della società di oggi

Sandra Bullock in "Gravity"
Sandra Bullock in "Gravity"

Ogni cosa a ogni cosa ha detto addio. È assente il lavoro, manca la solidità dei legami per sempre, latita il contesto collettivo. La società non risponde, gli amici se ne vanno e lo stato non c'è. Così si consolida il messaggio culturale che, al momento, recapitano film indipendenti e di successo, basati su personaggi femminili isolati, senza essere revulsivi. Anzi. Donne forti, ma appese al nulla mentre galleggiano nel vuoto di qualsiasi riferimento costante di vite definibili borghesi, quando tutto si teneva. Prima che una crisi epocale esasperante facesse tabula rasa di ogni connessione tangibile tra gli esseri umani, a Occidente. Non a caso l'eroina del box-office contemporaneo è un'astronauta persa nello spazio, quella Sandra Bullock che in Gravity, vaga nello spazio sidereo (insieme a George Clooney, ma la sua presenza è ininfluente) e Houston ha ben altri problemi che occuparsi di lei. Zero centro di gravità permanente, insomma. Ognuno sta per conto proprio, sulla Terra, ed è subito sera per l'altra metà del cielo. Come manda a dire Gloria, il piccolo capolavoro cileno di Sebastiàn Lelio, film indipendente che sta vivendo di passaparola: per una volta, critica e pubblico si trovano d'accordo. Strano, ma vero, questo dramma che indaga la vita scialba della 58enne protagonista (Paulina Garcia), una divorziata ancora amante della vita, interessa e commuove nonostante la Gloria del titolo sia un'attrice sconosciuta al grande pubblico. Un pubblico grande anche per età e che si rispecchia nella storia attuale di una donna di mezz'età, in una Santiago del Cile che potrebbe essere qualsiasi metropoli anonima. In altri momenti, un personaggio del genere, miope e con abiti scadenti, avrebbe fatto la comparsa. Ma oggi, mentre la classe media femminile viene penalizzata al massimo, balza in primo piano. Col suo monolocale disadorno, dove non prende sonno perché un vicino matto la disturba; con le balere per cuori solitari, dove lei s'avvolge nel fumo delle sue sigarette, con le canzoni cantate in macchina, la radio come unica compagnia, Gloria è un manifesto della delusione pura. Vissuta con grazia e ironia, comunque. Così, quando Rodolfo, patetico 65enne sottomesso all'ex-moglie e a due figlie moleste, entra nella sua routine solitaria, sembra amore. Passione, addirittura, né disturba vederli nudi, mentre il regista inquadra i loro corpi frusti nei congiungimenti carnali: il cinema degli amori senili ci ha abituato al superamento di certe barriere estetiche. Invece si tratta di un altro disinganno, preludio dell'ennesima migrazione interiore. Ma verso dove? In tanto vuoto pneumatico, il lavoro di Gloria non perviene: si sa che lei svolge un'attività, che però non si materializza. Il finale non è consolatorio: bisogna solo andare avanti e domani è un altro giorno, il che diceva già Rossella in Via col vento. Ufficialmente selezionato agli Oscar, come Miglior Film Straniero, mentre il cinema cileno si fa strada nel mondo, Gloria parte da un ritratto individuale e approda a un quadro universale dell'isolamento femminile. Che stride con la canzone di Umberto Tozzi, Gloria, sulle cui note energetiche si chiude il racconto.
Il Principe Azzurro, o almeno i Sette Nani, non arrivano neanche in un altro film indipendente, Frances Ha! di Noah Baumbach, che ha conquistato l'America e che l'anno prossimo sbarcherà sui nostri schermi, distribuito da Whale Produzioni. Girato in bianco e nero nella New York contemporanea, magnificamente interpretato da Greta Gerwig, qui è di scena una 27enne che prova a campare come meglio riesce. Di professione, sarebbe ballerina, però nessuna compagnia la assume, giudicandola «troppo vecchia». A quattrini, è messa male, però è generosa: quando riceve un conguaglio sulle tasse, invita subito un ragazzo a cena. Ma al ristorante le rifiutano la carta di credito e lei vaga per la Grande Mela, in cerca di contante. Che sia poco meno di una homeless lo dicono i suoi appartamenti condivisi: decorose topaie, dove i suoi «roommate» vivono di lavoretti precari. Le difficoltà aumentano quando la sua amica e coinquilina Sophie si trasferisce a Tokyo: un'altra protesi scompare e a chi si appoggerà Frances, se la sua famiglia d'origine vive a Sacramento e lei, neppure a Natale la sopporta? Nessun progetto di vita è possibile, mentre si arresta il normale sviluppo d'una giovane adulta. Anche in America la classe media femminile, che prima aveva ruoli, mariti, figli, si blocca in un fallimento alienante, come da noi.

E invece di farne uno sterile dramma, il nuovo cinema «mumblecore», a basso costo, senza star e incentrato sulle figure femminili della nuova alienazione, parla a tutti. E presenta problemi che nessuno risolve: il disincanto colpisce a ogni latitudine.

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