Indominus rex è la nuova attrazione del parco a tema dove, ventidue anni dopo gli eventi di Jurassic Park , gli scienziati analizzano il Dna congelato di due specie diverse di dinosauri. Siamo nel cuore degli esperimenti - Frankenstein di Jurassic World 3D (da venerdì con Universal), il blockbuster più atteso dell'estate, che di suo è già cimento da laboratorio: riuscirà il regista trentottenne Colin Trevorrow a ravvivare la mitica saga degli Anni Novanta? Alzi la mano quel genitore che, all'epoca, non si è scapicollato nei negozi di giocattoli, per pescare l'ultimo modello di triceratopo da offrire ai pargoli: fu autentica sauromania, per grandi e piccoli, veicolata da un marketing furbo.
Anche stavolta il nome del bonzo Steven Spielberg, sessantottenne sempre in gamba - prepara con Tom Hanks una spy-story coi fiocchi, Bridge of Spies -, aleggia sul kolossal, ma come produttore esecutivo. Il budget di 180 milioni di dollari era un discreto malloppo da gestire e la serie giurassica non può avere falle nel sistema, quando c'è da ringiovanire un franchise. Mister Spielberg, straordinario regista dei primi due film con i mostri crestati, non ha mai fatto un salto sul set, limitandosi ad approvare la sceneggiatura (sempre di Trevorrow, con Derek Connolly) e a guardare quotidianamente il girato, mandando qua e là mail con suggerimenti d'autore. Mister Trevorrow, invece, che nel 2012 ha diretto la commedia drammatica Safety Not Guaranteed , un po' trema. Anche perché l'ha preso di petto Women and Hollywood , blog influente che si batte per la parità di genere al cinema, sostenendo che lui sarebbe un regista maschio inesperto, protetto da un regista maschio molto esperto. Uomo per uomo al quadrato, insomma e Colin manda a dire che non dirigerà il quinto Jurassic Park . Questioni politicamente corrette a parte, i primi tre film della saga (il terzo l'ha diretto Joe Johnston) hanno rastrellato 3 bilioni di dollari su scala globale, quando la crisi economica era lontana. E poi non è un segreto: verso l'ultimo, il pubblico cominciava a stufarsi degli uccellacci preistorici presi dal romanzo di Michael Crichton.
Allora, ce l'ha o non ce l'ha il quarto film diplodoco, il quid per ravvivare il mito degli stegosauri datati? Sì, ce l'ha. Parlando in termini di rottamazione, ecco il 3D a rendere Isla Nubar, sede della riesumazione dei sauri in Costa Rica, posto da 20.000 visitatori al giorno, più intrigante rispetto a Jurassic Park , il primo grande film che fece uso di computer grafica. Ripopolato di pterodattili e velociraptor, il luogo deve trasformarsi in un ricco parco per famiglie sul Mondo Perduto, tipo zoo della preistoria disneyano. Ma il meccanismo di promozione s'inceppa e i proprietari decidono di aprire una nuova, grandiosa attrazione, forzando gli equilibri dell'ecosistema, con inevitabili sconquassi.
E qui, il tema della natura offesa è raccolto alla maniera di Spielberg, con maggiore impegno tecnologico: da cuccioloni inoffensivi, i sauri diventano killer bum-bum. Su tutti, spicca l'inquietante Mosasauro, mostro marino più grande di T-Rex. L'uomo-chiave è il carismatico Chris Pratt, star de I Guardiani della Galassia , che nei panni di Owen, amico di bimbi e animali, comunica con i dinosauri impazziti, testa a testa con lui sulla moto: diverte come Indiana Jones.
Se il nostro rapporto con la scienza è cambiato, resta il concetto: occhio alla manipolazione genetica. E in più, emerge un rispetto per gli animali, di qualunque provenienza siano, molto contemporaneo. Destinato, tra avventura, azione e sci-fi, a prendere il controllo del nuovo mondo giurassico. E del box-office.