Tweed, flanella e superspie. Calzati a pennello da Colin Firth nella divertente commedia di Matthew Vaughn Kingsman. Secret Service (dal 25 febbraio nelle sale). E se di solito inquadriamo l'attore premio Oscar ( Il discorso del re , 2010) come gentleman, che fa girar la testa a Bridget Jones, o come l'educato damerino del recente Magic in the Moonlight di Woody Allen, dovremo ricrederci. Perché con questo film d'azione, parodia dei classici 007, Colin intraprende ufficialmente la carriera di tipo tosto, già avviata con successo da Liam Neeson. Mena di brutto, stende gli avversari con l'ombrello stile James Bond e la scarpa Chelsea a punta avvelenata, uccide in preda a furia omicida e, senza perdere l'aplomb, il suo agente Harry Hart, vestito dai sarti londinesi di Savile Row, è l'arma letale di un'agenzia di spie al top. Nome in codice: Galahad, come alla corte di Re Artù. Basato sull'omonimo fumetto di Mark Millar e diretto in stile pulp dallo stesso autore di X-Men ; con Taron Egerton, Michael Caine e Samuel Jackson nel cast, Kingsman trasforma il più british degli attori contemporanei in un Jason Bourne vestito rétro, ma anche per uccidere. Accompagnato dai Take That, autori d'una canzone della colonna sonora e da Taron Egerton, qui nel ruolo del proletario da lui protetto, Firth indossa una grisaglia scura e occhiali da professore.
In Kingsman ha molte scene di combattimento: come si è preparato a questa parte inedita, per lei?
«La mia preparazione si è avvicinata alla danza. Ho seguito un training di sei mesi, ogni giorno m'allenavo tre ore: è stato doloroso e pesante. Anche con Woody Allen ogni mattina dovevo prima allenarmi duramente e poi, sul set, fingere spensieratezza. Nella vita reale, tutto ciò non mi serve: se qualcuno volesse fare a botte con me, mi metterei a ballare. D'altra parte, le mie scene di combattimento sono del tutto impossibili».
Crede che il suo pubblico, abituato ai suoi personaggi romantici, apprezzerà tale svolta?
«Non so come reagiranno i miei fans: in realtà, non capisco le reazioni del pubblico, in generale. E soprattutto, non penso in termini di genere, quando faccio una scelta professionale. Per me, Matthew Vaughn è uno dei registi più interessanti della scena inglese, attualmente. Capace di affrontare mondi e registri diversi».
Da bambino, guardava i film di James Bond, parodiati in Kingsman ?
«Certo. Da ragazzino sognavo d'avere superpoteri anch'io, come Bond. Ma qui ci sono pure riferimenti alla cultura popolare: gli occhiali di Harry Palmer, l'ombrello di John Steed, la favola di Re Artù. Il mio è un James Bond, stile Roger Moore, però ambientato nel 2015. Ma conta di più l'aspetto comico, in questa spy-story, che mancava da tempo».
Kingsman è giocoso, ma ha un elemento di riflessione attuale: l'ossessione d'essere sempre connessi. Lei è spaventato o affascinato dal pianeta digitale?
«Non so cos'è Twitter e non me ne frega niente. Ignoro cosa sia un hashtag. So bene, però, che i social media hanno un potere estremo: la connessione perpetua e tutto quel che c'è in mezzo, può evolversi in bene, o in male. Mi fa paura pensarci, ma Internet può consentirci il massimo di democrazia, dando a tutti una possibilità. Si può girare un film, con l'IPhone! Tuttavia...».
Tuttavia?
«Se mi guardo intorno, nel mondo reale, provo terrore. Ero a Venezia, tempo fa, uno dei posti più belli al mondo, e la gente o era china sui tablet, o fotografava ciò che mangiava. Poi ci sono quelli che vanno in Africa e fotografano gli animali tutto il tempo. Perché non ti prendi il National Geographic e non ti guardi gli animali? Vedere gente che solleva le testa china sullo schermo, è sempre più difficile».
Che cosa risponde a chi le obietta che il suo film ha un'ossessione classista per l'eleganza e l'aristocrazia?
«Il film enfatizza, in modo positivo, certe atmosfere. Ma ricordiamo che il Bene, il Male e la Nobiltà sono rappresentati a larghi tratti. La Camera dei Lord non è particolarmente utile, anche se si è espressa contro la pena di morte. Pure Michael Caine fa l'aristocratico. Ma infine muore. Come tutti i ricchi. Ai quali salta la testa per aria».
La sua flemma è soltanto apparente?
«Di recente, le performance dell'Arsenal hanno influenzato la mia compostezza. Apparentemente, sembro composto, ma in realtà non è così.
Una delle fortune del mio lavoro è che mi consente d'esprimere certi aspetti del mio carattere, con personaggi che vorrei essere. Si dice che gli inglesi siano composti. Ma credo non sia vero: soprattutto se vai alle partite di calcio. O ai concerti dei Take That».
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