Edouard Louis, che scandalo raccontare la violenza «clandestina»

Stefania Vitulli

Il nuovo libro di Edouard Louis, Storia della violenza (Bompiani, pagg. 192, euro 17; trad. Fabrizio Ascari, in uscita domani) è «soltanto» la storia di un uomo che la notte di Natale viene insultato, minacciato con una pistola, quasi strangolato, violentato. Un uomo che sopravvive, denuncia il suo aggressore e ne provoca l'arresto. Tutto qui. Tutto questo narrato fin nei minimi dettagli, in prima persona. Narrato magistralmente e con un obiettivo preciso, il che fa di quest'uomo uno scrittore. E narrato in modo da dare all'evento una portata universale, proprio come se la storia fosse quella della violenza stessa. Dopo le 300mila copie di un racconto autobiografico come Il caso Eddy Bellegueule, Edouard Louis è di nuovo davanti a noi, senza protezione, solo con la forza della parola e di un'altra storia vera.

Nel suo primo successo, scritto a 22 anni, nel 2013, la storia di Edouard/Eddy era fatta di sputi leccati dal pavimento, teste sbattute contro il muro nei corridoi della scuola. La vita quotidianamente violenta di un ragazzino in un piccolo borgo della Piccardia contemporanea. «Qui invece racconto la storia, autobiografica, del nostro corpo. Forzato. Mutilato», ci spiega Louis. «La violenza più grande: le nostre vite sono sempre raccontate dagli altri, che non smettono mai di parlare di noi. Perché abbiamo un posto così piccolo nella nostra stessa storia? Mi ha ferito mia sorella, che parlava con suo marito di quello che mi era accaduto. Mi ha ferito la polizia, che quando ho denunciato il mio aggressore e poi volevo capire che cosa sarebbe successo, mi ha detto Ora questa storia non le appartiene più».

Edouard incontra Reda - ovvero Riadh B., un nordafricano clandestino nel dicembre 2012, la notte di Natale, appunto. Louis sta tornando a casa dopo una cena con amici, alle quattro del mattino. Reda lo avvicina e infine si recano insieme nello studio dello scrittore, dove l'uomo gli racconta la sua infanzia e l'arrivo in Francia del padre, in fuga dall'Algeria. Parlano, ridono, si fanno le sei: Reda estrae una pistola e minaccia Louis di morte. Poi lo violenta. L'avvenimento in Francia diventa un caso mediatico e si può ben immaginare il perché. Il caso riesplode all'uscita del libro, quando è Riadh ad accusare Louis: nel libro lui risulta riconoscibile e questo è di per sé un attentato alla sua presunzione di innocenza. Non solo: è anche un attentato alla sua privacy, il che, sostiene l'avvocato di Riadh B., meriterebbe un capo d'accusa a sua volta. Il tentativo di dimostrare allo stesso tempo che Reda non è Riadh ma che Riadh ha fatto quel che ha fatto ha trasformato alcune udienze, come ha scritto Le Figaro, in una farsa.

«Sono stato molto attento alla sindrome della vittima. Sono una vittima, sì, ma non lo sono per tutto il tempo della mia vita. La stampa, il pubblico, sono subito pronti ad accusare te per primo, quando racconti una storia del genere», prosegue Louis. «Così come sono pronti a puntare il dito perché la storia è troppo intima, una ferita privata di cui non si deve parlare. In Eddy Bellegueule raccontavo come il linguaggio violento ci imponga un'identità finocchio, ebreo, negro o anche solo donna. Qui volevo denunciare lo scarto tra ciò che gli altri dicono di una storia e la realtà di chi l'ha vissuta. Ho scritto per vendetta: contro la polizia, contro la gente che aveva rubato la mia storia. Io uso la scrittura per trovare ciò che più è disturbante ed esprimerlo». Un esempio? «Dopo quella notte di Natale ripetevo sempre: Ho fatto di tutto per fuggire. Ma non è vero: avevo fatto di tutto per calmare Reda, per trattenerlo dalla violenza. Dicevo così perché quell'espressione è quella che usano tutti, che si deve dire in questi casi».

Il Reda della storia rimarrà in carcere per dieci anni, ma questo per Louis è un dramma, non una consolazione: «Nessuno mi ha chiesto se lo volevo perdonare. Non avrebbe cambiato le cose, ma mi avrebbe concesso di esprimere la mia umanità».

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