Sono in molti a considerarlo uno spartiacque tra il prima e il dopo. Saturday Night Fever, il film di John Badham uscito nel 1977 che rivelò il giovane attore John Travolta, in America ha lanciato definitivamente il fenomeno della dance culture attraverso le differenti classi sociali e non solo per la comunità di colore. Da noi, quel film dove il protagonista era il tipico italo-americano di Brooklyn con poca voglia di lavorare e il fisico da latin lover, fece esplodere la voglia della discoteca quando il divertimento, per la seriosità dell'impegno politico e il dramma del terrorismo, era bandito. Non dico che la musica dei Bee Gees ci fece uscire dall'emergenza, ma certo La febbre del sabato sera contribuì ad aprire quel varco decisivo per tanti ragazzi che non ne potevano più del grigiore del piombo e avevano solo una gran voglia di andare a ballare.
Una mostra come Night Fever. Designing Club Culture 1960 - Today è davvero una festa per chi è convinto del valore sociale delle discoteche che a lungo e in epoche diverse hanno interpretato i cambiamenti sociali più rilevanti soprattutto per il pubblico giovane, dove arredi e design risultano così consequenziali ai suoni. Uno stile che si è sviluppato negli anni '60, quando il cambiamento rispetto al passato appare addirittura travolgente, raccontato al Vitra Design Museum di Weil am Rehin a pochi chilometri da Basilea eppure in territorio tedesco. Inaugurata pochi giorni fa e aperta fino al 9 settembre, Night Fever è un esempio di mostra emozionale e coinvolgente, senza perdere nulla in quanto a filologia e completezza, prodotta peraltro in uno dei più importanti musei di design d'Europa.
In alcuni casi il club, più giusto chiamarlo così che non discoteca, si pone davvero come un'opera d'arte globale: architettura d'interni, design di mobili e oggetti, lettering e stile della grafica declinato su manifesti, flyer, inviti, light design, la musica stessa che determina infine la scelta degli abiti del pubblico, il vero elemento performativo che anima le notti, sono gli elementi che si intrecciano in una storia cominciata appunto negli anni '60 con le discoteche italiane affidate agli esponenti dell'architettura radicale, a luoghi leggendari come lo Studio 54 di New York, dove Andy Warhol si recava quasi ogni notte, l'Hacienda di Manchester progettata da Ben Kelly e Peter Saville, il nuovo Ministry of Sound di Londra affidato a OMA di Rem Koohlas.
Gli amanti della dance le considerano vere e proprie cattedrali, ma altrettanto importanti sono quegli spazi alternativi in cui il livello di sperimentazione è ancora più spinto, soprattutto in Italia. Per esempio lo Space Electronic concepito a Firenze nel 1969 dal Gruppo 9999, il Piper di Torino aperto nel '66 come un luogo multifunzionale adatto anche per la musica live e progettato da Giorgio Ceretti, Pietro Derossi e Riccardo Rosso, il Bamba Issa sulla spiaggia di Forte dei Marmi ideata dagli Ufo e pensata come un art theatre che si può trasformare a seconda del tema, durata solo tre estati dal '69 al '71.
Negli anni '70, quando si impone la Disco Music come un vero e proprio genere, l'asse si sposta a New York. Lo Studio 54, con gli arredi firmati da Scott Romley e Ron Dudd, diventa il locale di vip e celebrities, al Mudd Club e Area decolla la carriera dei giovani pittori Keith Haring e Jean-Michel Basquiat, perché ormai l'arte dialoga con gli effetti stroboscopici della vita notturna. A Manhattan come a Londra: al Blitz e al Taboo si impongono gli stili post punk, new romantic e gay friendly, «habitues» i vari Derek Jarman, Vivienne Westwood, Leigh Bowery. All'Hacienda di Manchester, cofinanziata dai New Order, nati sullo scioglimento dei Joy Division dopo la morte di Ian Curtis, muovono i primi passi europei l'acid house e la techno, importate da Chicago e da Detroit, cambiando completamente le carte in tavola e spostandosi verso quell'archeologia industriale ai margini della città che consente l'estensione della notte in rave dove la percezione del tempo è alterata anche per via dell'assunzione di droghe sintetiche. È la Berlino dopo il Muro a porsi come il luogo di culto della nuova generazione di ravers: oggi i ragazzi vanno a ballare al Berghain, aperto dal 2004 in una vecchia centrale termoelettrica dismessa.
Nonostante sia profondamente cambiato il modo di fruire della musica e i supporti con cui lavorano i dj, la cultura disco offre anche nel presente sviluppi interessanti: se Ministry of Sound è stato disegnato da OMA pensato come club simbolo del XXI secolo, lo studio Akoaki di Detroit ha elaborato Mothership una consolle mobile che non si era mai vista.
Forse dopo gli anni '90 si è abbassata quella Night Fever che ha segnato i più evidenti rivolgimenti sociali in almeno quattro decenni, ma non per questo i luoghi del rito collettivo solo in parte giovanile hanno smesso di rivelare il rapporto tra la musica e le nuove generazioni.
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