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Dalla fedeltà alla scissione di massa. Così nel 1976 il Msi si spaccò in due

Giuseppe Parlato ricostruisce il momento più difficile della destra italiana

Dalla fedeltà alla scissione di massa. Così nel 1976 il Msi si spaccò in due

La storia o è revisione continua, o è muffa. Assioma di difficile applicazione. Prova tuttavia a ridefinirlo Giuseppe Parlato ne "La fiamma dimezzata. Almirante e la scissione di Democrazia Nazionale" (Luni edizioni, pagg. 320) entrando nei gangli più sensibili di una vicenda che ha tormentato la destra italiana.

Questi i fatti. Nel 1976, più di metà dei parlamentari del Movimento sociale abbandonarono il partito per fondarne uno pronto a solcare mari non agitati dal nostalgismo. Ad una lettura superficiale parrebbe la classica bega intestina; in realtà, scrive Parlato, si trattò «della scissione proporzionalmente più rilevante nella storia del parlamento repubblicano». Di sovente, ad andar via sono state infatti delle minoranze; qui invece fu la maggioranza della classe dirigente. Passarono con Democrazia nazionale 17 dei 34 deputati, 9 senatori su 15, 13 consiglieri regionali su 40, 51 consiglieri provinciali... Sbatterono la porta Alfredo Covelli che era presidente del partito, Achille Lauro (presidente del Consiglio Nazionale), Ernesto De Marzio e Raffaele Delfino (rispettivamente capogruppo alla Camera e il suo vice), Gastone Nencioni e Michele Pazienza (presidente e segretario del gruppo al Senato), Pietro Cerullo, Massimo Anderson, Gennaro Ruggiero (presidente, segretario e vicesegretario del Fronte della Gioventù), il segretario della Cisnal, Gianni Roberti e poi tutta una serie di personaggi di primo piano. Per l'occasione Almirante coniò il termine «venticinqueluglisti» con evidente riferimento al luglio del 1943.

Ma se sul fronte politico erano risentimenti comprensibili in una comunità che si fondava sull'idea della fedeltà, a distanza di anni destano interesse le analisi di Parlato perché decrittano la scissione col distacco dovuto. Per decenni è infatti passata l'idea che i demonazionali fossero stati foraggiati economicamente dalla Dc. Si diceva che, in special modo Andreotti e la sua corrente, si fossero adoperati per depotenziare il partito. Eppure, scrive Parlato, la verità è un'altra perché da nessuno studio si evince la presenza di un sostegno economico o politico Dc. E oltre a non esservi nessuna carta che attesti la veridicità di tale fatto, è invece comprovato che Democrazia nazionale portò con sé la metà del finanziamento pubblico.

Inoltre, nelle elezioni del 1976 il Msi aveva perso un terzo degli elettori verso la Dc e perciò cadrebbe la tesi del foraggiamento.

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