Il film del weekend: "Snowpiercer"

Fantascienza post-apocalittica, intenzionalmente eccentrica, in cui si mischiano violenza, simbolismi e spunti di riflessione sulla natura umana

Il film del weekend: "Snowpiercer"

Presentato fuori concorso all'ottava edizione del Festival del Cinema di Roma e basato su una graphic novel francese, "Snowpiercer" è il film più costoso mai prodotto in Corea. Il suo talentuoso regista, Bong Joon-ho, qui alla sua prima pellicola in lingua inglese e con un cast principalmente occidentale, riesce a coniugare con incredibile maestria non solo i tratti caratteristici dell'opera d'autore con quelli del classico blockbuster dalle grandi ambizioni commerciali, ma anche la sensibilità orientale fatta di momenti talvolta lenti e criptici con l'adrenalina degli sci-fi americani.

Anno 2031. A seguito di un esperimento scientifico andato male, la Terra è piombata da diciassette anni in una nuova Era Glaciale. Gli ultimi sopravvissuti del genere umano vivono confinati in un treno rompighiaccio perpetuamente in moto attraverso il globo. Le classi benestanti gozzovigliano nella lussuosissima parte anteriore, mentre i poveri sopravvivono a stento in quella posteriore, un luogo fatiscente. La ribellione degli oppressi abitanti della coda del treno è però prossima: il loro leader, Curtis (Chris Evans), punta alla conquista della testa del convoglio e a spodestare Wilford (Ed Harris), il creatore del sistema e guardiano della sacra locomotiva.

Una storia epica, futuristica e visionaria in cui sangue, sentimenti, azione e grottesco si alternano tra loro grazie a bruschi cambiamenti di tono. Il mondo distopico rappresentato, visivamente straordinario, ci viene svelato attraverso l'appassionante odissea di un gruppo di personaggi vividi e ben delineati, che avanzano, vagone dopo vagone, come fossero in un videogame a livelli. La scelta estetica di allestire numerose sequenze di brutale e concitata violenza disturba se non si amano i virtuosismi sopra le righe di un certo genere di cinema, ma le scenografie incontrate lungo il percorso, ora inquietanti ora suggestive, valgono la visione. Siamo di fronte a un'opera che presenta simboli e riferimenti mitologici e che regala spunti per riflessioni di carattere sociologico e filosofico. Alcuni vi vedranno rappresentati i rischi legati ai cambiamenti climatici, altri vi individueranno una metafora politica, altri ancora capiranno di avere l'occasione di osservare "in vitro" la natura dell'uomo e la sua tendenza alla disumanità e all'autodistruzione.

Il film è un percorso di rivelazione nel quale si fa largo, uno scompartimento dopo l'altro, la consapevolezza che l'iniziale distinzione manichea tra Bene e Male sia illusoria e il destino etico e morale della nostra civiltà sia amaramente complicato. Alla fine si ha la sensazione straniante di essersi lasciati sfuggire buona parte dei rimandi nascosti nel film ed è cosa bella e rara da vivere al cinema di questi tempi.

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