Fritz Lang fu un genio assoluto e dispiegato in una carriera che dalla Germania di Weimar proseguì poi negli Stati Uniti, in fuga dal regime hitleriano. Ma se l'uomo pubblico è un monumento impossibile da scalfire, più controverso risulta invece l'aspetto privato della sua esistenza. Il film di Gordian Maugg Fritz Lang in programmazione all'Oberdan di Milano mercoledì 14 dicembre, all'interno della rassegna Demoni privati, perversioni del potere e spettri del nazismo pone al centro della scena i fantasmi che agitavano la mente del papà di Metropolis.
L'ipotesi da cui si dirama la trama è la seguente: Lang era il più abile di tutti nel raccontare dal di dentro la psiche degli assassini perché lui stesso forse apparteneva alla categoria. La pellicola si sofferma su un momento specifico della sua vita, ovvero quel 1930 in cui mentre cercava l'idea per un nuovo successo, riuscì a venir fuori dal cul-de-sac creativo trovando dentro a un giornale la fonte d'ispirazione giusta: il Vampiro di Düsseldorf Peter Kürten, killer seriale dalla crudeltà così inaudita che quando il boia chiese l'ultimo desiderio prima di mozzargli il capo, egli espresse la volontà di sentire il suono del sangue sgorgante dal ceppo del collo.
Un personaggio così rabbrividente colpì l'immaginazione del cineasta, e da lì nacque M. Il mostro di Düsseldorf, il più celebre tra i suoi lavori e il più inquietante, nel tratteggiare l'immagine di un maniaco uccisore di bambine.
L'opera di Maugg racconta la passione investigativa che realmente spinse il virtuoso della macchina da presa a fare dei lunghi e circoscritti approfondimenti, aggiungendovi però degli elementi inediti: il regista che col suo intervento permette alla polizia di acciuffare l'orrido individuo, e con quest'ultimo vuole poi confrontarsi tra le mura carcerarie, imbastendo delle conversazioni da cui scaturisce quasi una vicinanza, un sentimento di complicità. Questa è la congettura degli autori: l'artista comprende umanamente il dramma di Kürten poiché come lui aveva ucciso volontariamente delle persone.
In particolare si fa riferimento all'episodio, accaduto veramente a Lang nel 1920, della prima moglie trovata morta appena dopo aver scoperto l'adulterio del consorte con Thea Von Harbou, futura sposa e soprattutto futura sceneggiatrice di tutte le sue regie degli anni tedeschi. La polizia archiviò la pratica come suicidio, ma alcuni elementi effettivamente inducono a credere che il responsabile fosse il marito.
Per un'ora e quaranta osserviamo un uomo tormentato dal ricordo di quel singolo avvenimento, ma anche dal peso sulla coscienza di altri omicidi perpetrati in passato. Inoltre, al di là di questi efferati delitti, probabilmente frutto soltanto di una proiezione onirica ad occhi aperti, il ritratto del personaggio che ne emerge è ben più negativo rispetto a quello che gli adoranti cinéphile avevano fornito di lui da Godard che lo volle nel suo Il disprezzo presentandolo come la quintessenza del cinema, a Bogdanovich il quale lo intervistò mettendone in luce le qualità umane.
Del resto è probabile che nell'intimo egli fosse proprio quel genere di persona, spiritosa e sostanzialmente di buon cuore, affiorante dalla chiacchierata con l'autore de L'ultimo spettacolo.
Maugg sarà presente all'Oberdan, e avrà modo di spiegare cosa lo abbia spinto a imprimere su fotogramma il dark side di un mito della settima arte, ma il ciclo di proiezioni - fino al 3 gennaio nella sala di viale Vittorio Veneto - si pone un obiettivo più generale: mostrare come Lang avvertisse nell'aria che il delirio nazionalsocialista si stava facendo strada, e il suo Dottor Mabuse incarnazione del Male, manipolatore delle menti e delle anime risultasse nel '22 un'anticipazione di quel che in Germania sarebbe accaduto undici anni dopo. Dunque prima di altri seppe presagire una svolta politica deleteria e la restituì sullo schermo, in capolavori quali M e Il testamento del Dottor Mabuse.
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