Cultura e Spettacoli

I pionieri dell'oro: una fiction Usa che sa di frontiera

Prodotta da Ridley Scott, sta spopolando in America: è una metafora dei cambiamenti epocali

I pionieri dell'oro: una fiction Usa che sa di frontiera

Klondike. Un luogo lontanissimo eppure così familiare. Che evoca oro, pepite, Zio Paperone. Perciò, quando nella prima scena ci si trova di fronte a Richard Madden che arranca in una bufera di neve, per un attimo si pensa di aver sbagliato serie tv. Cosa ci fa Robb Stark del Trono di Spade? Ma non era morto? Poi lo smarrimento svanisce con l'incedere del racconto: il viaggio di due avventurosi neolaureati che non sanno cosa fare nella vita. Come nel più classico mito dell'american dream hanno le tasche (quasi) vuote ma il cuore pieno di speranze. La prima serie fiction di Discovery Channel, che prosegue le sue tappe di avvicinamento alla tv generalista, è prodotta da Ridley Scott e racconta della corsa all'oro che cambiò, insieme agli Stati Uniti, il volto del mondo. Un successo, negli Usa, che vedremo presto anche in Italia.

Karl Marx scriveva nel 1850 che la scoperta delle miniere d'oro in California «avrà effetti più sconvolgenti della scoperta stessa dell'America». Il commercio mondiale stava cambiando direzione: «L'oceano Pacifico svolgerà nel futuro lo stesso ruolo che ha svolto l'Atlantico nella nostra era, e che era del Mediterraneo nell'antichità». Fu l'inizio dell'ascesa americana e del declino europeo.

Nella nostra miniserie siamo qualche anno dopo. Quando la California è ormai alle spalle e anche il Colorado, in quel momento meta alla moda per i cercatori d'oro, sta esaurendo le sue risorse. Il viaggio dei due avventurieri ha infatti inizio quando un vecchio cercatore dall'aria malinconica gli offre da bere e, tirando fuori una pepita da un barattolo di latta, gli dice: «Se è nei giornali è roba vecchia» e aggiunge «È come in qualsiasi altra cosa, ciò che vuoi essere è il pioniere».

La storia in sé e il modo in cui è raccontata, complice un montaggio a dir poco artigianale, non ne fanno un capolavoro. Oltre a un sottoutilizzato Tim Roth, nei panni del cattivone di Dawson City, il caricaturale personaggio del logorroico Jack London prima di diventare un grande scrittore e la retorica sulla naturale bontà dei nativi americani frenano un po' l'entusiasmo dello spettatore. Eppure, gli episodi di Klondike ci restituiscono il caos e il fermento delle grandi accelerazioni storiche, la confusione e il rumore, la fame, il tifo e lo champagne che «come una bella donna prima ti solletica il naso e poi le labbra». È questo il mondo che si trova davanti l'ultimo arrivato. La cui unica certezza è che dovrà scavare (senza sapere se scaverà una miniera o una tomba) tra i ghiacci sconfinati dell'immaginazione, nello spazio di terra compreso tra il fiume Klondike (Canada) e il fiume Yukon (tra Canada e Alaska).

In un momento storico come il nostro, in cui non solo il lavoro, ma anche i nostri valori e le nostre certezze stanno crollando per un nuovo cambio di direzione del mercato mondiale, che abbraccia la Cina sull'altra sponda del Pacifico e raggela l'occidente ibernando le speranze delle nuove generazioni, sarebbe bello canticchiare con lo spirito dei pionieri le parole di Neil Young I've been a miner for a heart of gold (sono stato un minatore per un cuore d'oro).

Il più recente mito del viaggio verso i ghiacci è stato incarnato dal film di Sean Penn, Into the wild, basato sull'omonimo romanzo di Jon Krakauer a sua volta ispirato dalla storia vera di Christopher McCandless, un ragazzo di buona famiglia che brucia il denaro e muore per aver mangiato le bacche sbagliate in un pulmino abbandonato. Una storia molto diversa dall'epopea di Zio Paperone, l'immigrato scozzese che, in tasca una moneta da dieci centesimi, diventò il papero più ricco del mondo, con un patrimonio di tre ettari cubici di denaro che lo pone al vertice della classifica dei miliardari del mondo della finzione stilata da Forbes, sbaragliando personaggi come Lex Luthor, Bruce Wayne e Montgomery Burns. È di questi giorni la notizia che, a causa dell'eccessivo pellegrinaggio di avventurieri naïf che ha dato vita a diversi incidenti, anche mortali, il Magic Bus di Into the wild verrà rimosso. Basta pellegrinaggi da hippy. I tempi sono maturi per una nuova febbre dell'oro. Resta da scoprire il nostro Klondike.

Twitter: @cubamsc

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