«Io e Checco Zalone siamo fratelli di Puglia»

Clizia Gurrado

Parafrasando il drammaturgo dell'assurdo per eccellenza Alfred Jarry, possiamo tranquillamente sostenere che se non esistesse la Puglia non esisterebbero i Pugliesi. E di conseguenza non avremmo un attore comico come Emilio Solfrizzi. Barese. Classe 1962. Amato dal pubblico per Sei forte maestro. Love Bugs. Tutti pazzi per amore. Che nei primi anni Novanta dagli studi di Telenorba, con il suo personaggio di cantante neomelodico e un po' tamarro di nome Toti, che faceva coppia con Tata (l'attore Antonio Stornaiolo), ha fatto ridere i giovani di tutto il Tavoliere e il sud Italia. Primo fra tutti: un certo Checco Zalone.

In pratica senza Toti oggi non esisterebbe Zalone?

«Non sta a me dirlo, ma Checco ha confermato più volte di essersi ispirato ad alcuni dei miei personaggi. In più il regista dei suoi film è Gennaro Nunziante, autore con il quale ho lavorato per tanto tempo quindi ci sta benissimo che si sia creata questa contaminazione».

Lei e Zalone avete cantato insieme in una trasmissione.

«Sì, è stato nel 2008 per un Capodanno in diretta da Bari. È stata una festa, una gioia, un trionfo di allegria che ha coinvolto tutto il pubblico presente».

Dal 13 al 30 ottobre la vedremo trasformato in un Sarto per signora sul palco del Manzoni di Milano. L'opera è di un ventitreenne di metà Ottocento, Georges Feydeau. Cosa le è piaciuto di questo testo?

«È un vero capolavoro, dal contenuto rivoluzionario che trasmette tutta l'energia dei vent'anni dell'autore. Una scrittura ferocissima di critica alla facciata della società dell'epoca dove era molto importante apparire. Proprio come oggi».

Possiamo avere un episodio Off della sua carriera?

«Ai miei esordi esisteva un gruppo di comici che si chiamava La Zavorra. A nostra insaputa, tramite un agente che ci aveva ingaggiato per una serata fuori dalla Puglia, io e il mio socio siamo entrati a farne parte.

Arrivati nel luogo della nostra esibizione, il gestore del locale ci ha accolto con la frase: Ah, ecco la zavorra!. Speriamo proprio di no! gli ho risposto. Ma come no? Noi vogliamo la zavorra».

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