Cultura e Spettacoli

Istituiamo due premi: uno per l'impegno e uno per le opere

In fondo, su Abdulrazak Gurnah premio Nobel per la Letteratura ci avevamo scommesso un po' tutti, dài. Chi, del resto, non ne ha letto l'opera omnia? Stavolta la previsione era facile... Come era già successo, peraltro, nel 2020 con Louise Glück (ottima poetessa, peraltro), nel 2018 con Olga Tokarczuk, nel 2015 con Svjatlana Aleksievic... Ma forse non è il giorno giusto per fare ironia. È vero: il fatto che Abdulrazak Gurnah sia un perfetto sconosciuto ai più, e che di lui ci sia ben poco di pubblicato in Italia, non significa che non sia uno scrittore di valore, anzi. Forse è l'Italia a essere provinciale per non averlo ancora davvero scoperto. Però, la domanda, da diversi anni, è legittima: perché invece di consacrare con l'alloro di Stoccolma un autore universalmente riconosciuto - letto, amato e popolare - si decide di spiazzare il grande pubblico con un nome il cui vero merito sembra essere l'impegno civile prima che la qualità letteraria? Il fatto è che una vera risposta non esiste. E così, ancora una volta, l'Accademia di Svezia ha accantonato Haruki Murakami, o la francese Annie Ernaux, o la canadese Margaret Atwood, per non citare Milan Kundera (ce ne pentiremo, quando non ci sarà più la possibilità di premiarlo), o lo spagnolo Javier Marías, o l'israeliano David Grossman, o Salman Rushdie (in compenso Abdulrazak Gurnah ne è un esperto, ma allora tanto valeva scegliere lo stesso autore de I versi satanici...) o Don DeLillo (non tiriamo neanche fuori il nome di Cormac McCarthy), e non esageriamo con Michel Houellebecq... Ma si è ricordata dello scrittore tanzaniano Abdulrazak Gurnah, nato a Zanzibar nel 1948 da una famiglia araba, dal 1968 residente in Inghilterra, con cattedra all'Università del Kent, che ci ha regalato un'opera narrativa «anti coloniale» con al centro storie di profughi, esuli e schiavi. Motivazione del Nobel: «Per l'inflessibile e compassionevole comprensione degli effetti del colonialismo e della sorte dei rifugiati, per la sua dedizione alla verità e la sua avversione alla semplificazione». Quindi: per alcuni (gli accademici di Svezia) la letteratura è uno strumento potente per denunciare i luoghi comuni sulle vicende più scomode del nostro passato e aprire lo sguardo sulle culture dimenticate, mentre per altri è l'invenzione di storie universali che ampliano la nostra esperienza e ci aiutano a vivere. Allora, ecco una modesta proposta. Perché non duplicare il premio Nobel e, ogni anno, assegnare due diversi riconoscimenti? Uno per l'impegno civile dello scrittore (anche se in parte esiste già: è il Nobel per la Pace) e uno per il valore letterario dell'opera. Così si potrebbe premiare sia un autore che si batte contro i grandi mali dei nostri tempi (e di quelli passati) come il colonialismo, il razzismo, il sessismo, il maschilismo, il White Power, i fascismi imperanti, viva i transgender, i diritti dei Maori, quelli degli Inuit, e la tutela dell'ambiente..., sia un grande autore che se ne frega degli stessi temi ma racconta storie, scritte bene, che hanno la pretesa di riempire la vita (cambiarla sarebbe troppo) a più persone possibili. Si chiamano classici, di domani.

Per oggi, accontentiamoci.

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