«Per favore non chiamatemi maestro. Sciascia accettava l'epiteto perché era stato maestro elementare. Ma io...». Ritroso quanto compiaciuto, Andrea Camilleri si gode la rara apparizione pubblica, circondato dalla deferenza generale e fumando come un turco (senza che nessuno osi fargli notare che è vietato). L'occasione è di quelle speciali: si presenta in Rai La mossa del cavallo, il film tv (lunedì 26 su Raiuno) che per la prima volta traduce in immagini «l'altra faccia» del papà di Montalbano: i gialli storici.
E l'esordio è tale che, col candore del novantunenne, lo scrittore si confessa «preoccupato. Già il consenso universale per Montalbano mi fa un po' di paura: finiranno per venire di notte sotto le mie finestre a gridare Montalbano santo subito».
Ora però il fan «pieno di bacilli montalbaniani» rischia di restare spiazzato: «Perché quello che troverà con La mossa del cavallo è un altro mondo; un'altra realtà». Civetterie d'autore. Sia pure negli (splendidi) costumi e nei (magnifici) ambienti 1860, la Sicilia di Camilleri resta col film tv diretto da Gianluca Maria Tavarelli - la Sicilia di Camilleri. Misteriosa, grottesca, irresistibile.
«E pur narrando dell'Italia post-risorgimentale, ambientata nella stessa Vigata di Montalbano ma cento anni prima nota il direttore di Raifiction, Andreatta - racconta una storia attualissima». Che è poi quella di Giovanni Bovara (Michele Riondino, già Giovane Montalbano), un «ispettore ai mulini» siciliano vissuto al Nord, che a Vigata torna per investigare su misteriosi delitti legati all'odiata «tassa sul macinato», e che finisce in una trappola dalla quale si salverà solo con un'abile «mossa del cavallo»; cioè (come nel frasario degli scacchi) «scavalcando» l'ostacolo riappropriandosi della propria lingua. Ovvero della logica natìa. «È una storia dura dice Camilleri -: è la critica ad uno degli errori più grossi commessi dal Risorgimento. I siciliani votarono per l'annessione al Regno d'Italia con 489mila sì e solo 70 no. Com'è possibile che in meno di 40 anni in Sicilia si proclamassero tre stati d'assedio, e arrivasse un esercito fucilatore comandato da Carlo Alberto Dalla Chiesa, nonno del famoso generale, che proclamava: Bruciate le case dei contadini: contengono più fucili che pane? Nei libri di storia la spiegazione è una parola sola: briganti. Ma quelli non erano briganti: erano contadini in rivolta contro la leva che per quattro, lunghi anni privava le famiglie di braccia e di sostentamento».
L'attualità del racconto, calibrato tra aspre, assolate pianure e fastosi interni barocchi, come un «western alla siciliana» sta nei temi della corruzione, dei legami fra politica e criminalità, ma anche del coraggio dei servitori dello Stato. E anche per il suo splendore formale La mossa del cavallo finirà per rappresentare, come già Montalbano, una sorta di «biglietto da visita» della Sicilia migliore all'estero: «Ricevo centinaia di lettere da tutti i 63 paesi in cui Montalbano ha viaggiato conferma Camilleri -. La mia rappresentazione della Sicilia sorprende molto gli stranieri. Ed essere considerato l'ambasciatore di un'altra Sicilia, mi inorgoglisce. Mi sono sempre rifiutato di scrivere di mafia. L'ho fatto una volta sola un libro sui pizzini di Provenzano - ma il ricavato andò alla mia Fondazione per gli orfani dei poliziotti caduti. Non voglio guadagnare soldi sulla mafia».
Se poi si allarga il discorso all'attuale campagna elettorale, il grande vecchio diventa amaro: «A volte penso di essermi rimbecillito io. Poi mi capisco che quello che sento è tutto vero.
E' una campagna disgustosa, fatta di false promesse, di insulti reciproci, di litigi da comari. E' la decadenza della politica, che ha perso la sua P maiuscola. Altro che errori dell'800: qui ripeschiamo quelli del '300. Per rimetterli di nuovo in commercio».
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