Matteo Sacchi
Questa sera alle 23.25, su Rai 2, andrà in onda La leggenda di Indro, un approfondimento biografico a cura di Miska Ruggeri (realizzato nella cornice dei Tg2 Dossier) dedicato a Indro Montanelli (1909-2001), il principe del giornalismo italiano del Novecento. In settant'anni di carriera, dai primi anni Trenta sino alla morte, avvenuta nel 2001, Montanelli ha scritto in maniera compulsiva: oltre 50mila articoli, romanzi, pamphlet, saggi storici, opere teatrali e sceneggiature. E in tutte le sue opere è sempre riscontrabile la sua cifra peculiare: lo stile chiaro, comprensibile a chiunque, ma sempre arricchito di un guizzo, di una battuta al fulmicotone.
Montanelli non è stato solo un importante testimone delle vicende del nostro Paese, ma anche un protagonista, capace di incidere nella storia italiana. Questo lo ha reso amato da tanti e da altrettanti odiato. Una bandiera per i liberal-conservatori e una bestia nera per i progressisti. Il Dossier, attraverso i ricordi di chi lo ha conosciuto (Roberto Gervaso, Marcello Foa, Vittorio Feltri, Michele Brambilla, Massimo Fini, Alessandro Sallusti, Giancarlo Mazzuca, Massimo Bertarelli, Alberto Malvolti e Paolo Di Paolo), ne racconta la vita e la carriera giornalistica: dalla guerra coloniale in Eritrea all'attentato delle Br, dagli inizi all'Universale di Berto Ricci alla lunga e contrastata carriera al Corriere della Sera, sino alla fondazione di due quotidiani, Il Giornale e La Voce.
Il risultato è un racconto a più voci che sviscera tutti i lati della personalità del giornalista scrittore. Ad esempio ricorda Roberto Gervaso che con lui ha scritto ampie parti della Storia d'Italia: «Montanelli è riuscito sempre a far capire al lettore anche quello che il lettore non capiva mai». Sempre parlando di scrittura così Vittorio Feltri: «Era un modello per tanti colleghi... Tutti hanno cercato di imitarlo, ma nessuno c'è riuscito». Sulla stessa linea Massimo Fini: «Come scrittura, eleganza e capacità di battuta è veramente insuperabile».
Sul ruolo di Montanelli come direttore si è invece concentrato Michele Brambilla, direttore di QN: «Ha fondato un giornale al quale ha dato un'anima. Forse non era espertissimo a gestire i bilanci, conti e altre cose noiose che deve fare un direttore, ma è stato anche un grande direttore perché ha creato una comunità di lettori». Sempre su Montanelli direttore dice Giancarlo Mazzuca: «Diceva sempre di essere un direttore bandiera, nel senso che la mattina veniva issato sul più alto pennone e sventolava fino a sera. Invece era un direttore concreto, ci dava l'input ogni giorno».
Più personale il ricordo di Massimo Bertarelli: «Non si può mettere in discussione che Montanelli sia stato il più grande giornalista italiano del 900 per intuito, capacità di sintesi, intelligenza politica, per la scrittura chiara. Si faceva capire da tutti». Di certo Montanelli ha portato il giornalismo molto vicino alla letteratura, trasformandolo in una ragione di vita. Diceva di sé: «Se io rinascessi, rifarei quello che ho fatto.
Mi considero uno degli uomini più fortunati del mondo perché ho fatto il mestiere che mi piace fare». Un mestiere che non era nemmeno una scelta per certi versi: «Io mi considero un condannato al giornalismo, perché non avrei saputo fare niente altro».
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