Leo perfetto e la storia emoziona (al netto dei trucchi digitali)

Angoscia senza parole, per due ore e 39 minuti. Tra eviscerazioni, squartamenti e pelli d'uomo e d'animale scuoiate nella Terra del Fuoco (il film è girato in Argentina, ma simula il Dakota), The Revenant di Alejandro González Iñárritu mostra il lato più perturbante dell'eterna lotta tra genere umano e natura, facendo a meno dei dialoghi, qui ridotti all'osso. È il paesaggio innevato che parla in quadri pittorici che ricordano Brueghel: gli uomini piccoli e scuri, tutt'intorno un ostile nitore, dove indiani Pawnee e cacciatori di frontiera sopravvivono, armati gli uni contro gli altri. Basata sulla vera storia di Hugh Glass, cacciatore di pelli che all'inizio dell'800 fu abbandonato dai compagni di spedizione, ferito a morte dopo un corpo a corpo con un grizzly, questa potente storia di vendetta dà modo a Leonardo DiCaprio di recitare una serie di sfumature vocali. Se vincerà l'Oscar, l'eccellente protagonista lo dovrà ai gutturemi e ai grugniti di dolore del suo redivivo, un lottatore estremo che ricorda Il gladiatore sia per i patimenti subiti (moglie e figlio trucidati, sofferenze corporali) che per la ricerca di vendetta finale, risolta tra colpi di scena da grande cinema.

E poco importa se i trucchi digitali inondano il racconto, come nella scena del combattimento con mamma orso, che sale su Leo e pare violentarlo (la Rete è insorta, quanto a ciò): ci si emoziona ugualmente. A parte la performance di Leo, il film funziona non soltanto perché ha nella vendetta il suo perno, ma anche perché nel redivivo s'identifica chiunque sia caduto nelle secche dell'esistenza, venendone fuori da solo.

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