L'epopea di Hemingway non tramonta mai

Da molto tempo Il vecchio e il mare viene considerato il poetico lascito testamentario di Hemingway, dato che nella breve vicenda oltre al protagonista e a un ragazzo che lo accudisce la narrazione è affidata a una sorta di voce impersonale quanto indiretta dietro a cui si intuisce la sotterranea presenza dell'autore. Come se Hemingway abbia voluto consegnarci la mitica presenza dell'universo in cui si esaurisce e si potenzia lo storico mito del mondo. Da una parte infatti il racconto pare esaurirsi nella parabola dell'anziano pescatore sulle tracce dello stesso mito inseguito anni prima da Melville nell'immortale Moby Dick, o nella storia delle isole Encantadas evocata da Tennessee Williams in Improvvisamente l'estate scorsa. Trasposto per merito della strepitosa regia di Daniele Salvo in una fantastica epifania che sposa idealmente il carattere epico del teatro con l'apporto visionario del cinema, Il vecchio e il mare si muta davanti ai nostri occhi in una sfrenata sinfonia biblica. Dove il pescatore (un grande Graziano Piazza) e la nervosa silhouette del suo giovanissimo aiutante (Luigi Biscione) incarnano lo stupore antico dei nostri progenitori davanti al mondo. Che nella scenografia di Alessandro Chiti sconfina spesso nell'immaginario della grande pittura di Turner.

Sottolineata da un altro io narrante, ossia l'ignoto testimone superbamente incarnato da Stefano Santospago, il quale surroga l'autore descrivendoci ancor prima che appaia l'immagine dello squalo in un delirio di fuochi fatui.

IL VECCHIO E IL MARE - Teatro Sociale del CTB, Brescia.

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