Ron: "Lucio, quel filosofo gioioso che per me era come Ulisse"

Rona nel tributo a Dalla nel giorno del compleanno: "Canterò Henna". "Era un puro. E le polemiche volgari dopo la sua morte lo hanno ucciso due volte"

Ron: "Lucio, quel filosofo gioioso che per me era come Ulisse"

Proprio così: «Lucio è una persona riconoscente». «Lucio non si circonda di persone vecchie dentro». Lucio è. Ron parla di Lucio Dalla quasi sempre al presente, qualche volta la sua voce si increspa e la commozione la irruvidisce. Ma non c'è un filo di retorica, mai. Una vita insieme, sin dal 1970. Da vicino e da lontano o lontanissimo, come stasera quando lo ricorderà nel corso del docuconcerto su Raiuno da quella Piazza Grande di Bologna che tutti (ri)conoscono grazie a loro. La prima volta che Ron lo vide, Dalla era ingessato per un incidente stradale. L'ultima la racconterà tra poco. Tra le due immagini c'è quel filo conduttore sottile e inscindibile che è la sincerità dei sentimenti. E proprio oggi che Dalla compirerebbe 70 anni e la sua morte compie un anno, Ron distilla il ricordo più bello: «Lucio si è messo in gioco fino all'ultimo». Sul serio.

Che cosa canterà stasera, mica facile scegliere vero?
«No, però ho deciso per Henna, dal suo disco omonimo del '93. Voglio cantarla perché è intensa, piena di pace e fratellanza, con una musica quasi senza respiro, senza neppure un inciso».

Quando Dalla è morto, lei rimase senza parole. Nel senso che non fece quasi nessuna dichiarazione pubblica.
«L'ho fatto per rispetto nei suoi confronti. Le polemiche che sono seguite alla sua morte lo hanno ucciso altre due volte».

La morte.
«Non mi ha reso triste. Mi ha riempito di malinconia il non poterlo più raggiungere o ricevere una sua telefonata. Mi telefonava anche nel cuore della notte, sa?».

Siete rimasti sempre un punto di riferimento artistico l'uno per l'altro.
«Dentro di me non immaginavo neppure che Lucio sarebbe morto. Per me era come Ulisse, era immortale e sempre presente pure se spariva in continuazione».

L'ultima volta è stato lei a cercarlo.
«Devo dire grazie a un mio amico. Mi disse: se non vai a vederlo adesso, non lo rivedrai mai più. Allora siamo partiti nel cuore della notte. E poi siamo rimasti fino all'alba in quella piccola chiesetta di Losanna dove c'era il suo corpo. Il suo volto era sempre il suo, furbo, come quello di un bambino che si è divertito con la vita. Aveva anche un lieve sorriso come se dicesse guarda che scherzetto vi ho fatto. Siamo rimasti con lui fino all'alba».

Chi c'era?
«C'erano gli amici. E c'era Marco (Alemanno - ndr). Marco è stato fondamentale per Lucio, sapeva come aiutarlo a tirar fuori i suoi pensieri e le sue intuizioni».

Molti non hanno rispettato il suo dolore.
«Qualche volta mi sono anche messo a ridere per l'amarezza. Siamo un paese talmente abbruttito da andare a guardare nelle mutande degli altri».

Lui come avrebbe reagito?
«Lucio era davvero una persona pura. Teneva sì a far parlare di sé. Ma solo per le cose che cantava o scriveva. Forse anche per questo aveva un enorme rispetto per tutti. E soprattutto voleva parlare con le persone per la strada. Chiedeva chi fossero, provava a indovinarne il nome o quale mestiere facesse il padre».

Ron, nel suo ultimo disco Way out c'è la stessa curiosità di scoprire.
«Riascoltando le registrazioni, mi sono accorto che c'era qualcosa in più, c'era Lucio. In certi punti non riconoscevo neppure la mia voce: questo non sono io!».

E ora si è messo a tener concerti nei piccoli club.
«Non l'avevo mai fatto prima. E il merito è anche della mia esperienza nei pub americani dove non mi conosceva nessuno. Suonavo in posti funky e c'erano questi enormi neri che poi si avvicinavano dicendomi: “Good job, man”. Lì c'è un rispetto per la musica che qui ce lo scordiamo».

Stasera cosa le verrà in mente?
«Forse gli inizi, avevo neppure diciassette anni quando ho incontrato Lucio. Oppure quel Festival di Sanremo in cui combinai un memorabile patatrac».

Quale patatrac, scusi?
«Era il 1972. Avevamo scritto Piazza Grande per la gara. Mi disse: devi venire anche tu sul palco dell'Ariston. Ero emozionatissimo, avevo neanche 19 anni.

Quando il direttore d'orchestra ha battuto il tempo, io non ho capito e ho anticipato la partenza. Patapum! L'orchestra si bloccò, dovette ripartire daccapo e io volevo morire. Ma Lucio si girò e si fece solo una gran risata. In fondo era un filosofo che aveva capito tutto della vita».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica