Quando la tv insegnava. Quando non si vergognava, d'insegnare. Sembrerà banale, perfino autolesionista, che la Rai di oggi dedichi alla se stessa di quarant'anni fa una fiction che ne dimostri - al tempo stesso - meriti antichi e attuali demeriti. Ma non si può assistere a Non è mai troppo tardi (la storia del maestro Alberto Manzi, che dal 1960 1al 1968 in tv insegnò a leggere e a scrivere ad un milione e mezzo d'italiani, su Raiuno il 24 e 25 febbraio) senza malinconicamente considerare quanto sia cambiata, da allora ad oggi, la tv pubblica. «Manzi era un maestro coraggioso, anticonformista, che andava contro le regole, quando le regole erano sbagliate - lo descrive l'interprete, Claudio Santamaria - Venne per questo più volto colpito da provvedimenti disciplinari, e contribuì ad alfabetizzare un Paese intero con un programma che durò otto anni, e che venne venduto e replicato in 72 paesi». «Manzi venne arruolato - aggiunge Angelo Barbagallo (che per anni aveva tentato, invano, di produrre questa fiction) - da una Rai che insegnava. E che per questo è stata molto importante per tutti quelli della mia generazione». Ma oggi proprio la storia d'un maestro coraggioso in una Rai coraggiosa, più che celebrare l'azienda, paradossalmente, l'accusa d'aver svenduto missioni pedagogiche e ambizioni culturali. «Non è mai troppo tardi ci mette in discussione. Ci mostra quel che una televisione pubblica è. O dovrebbe essere - ammette la vicedirettrice di Raiuno, Roberta Enni - Però non è un caso che questa fiction vada in onda proprio nel sessantesimo anniversario della Rai.
Dimostra che non smettiamo d'interrogarci sul valore culturale del nostro servizio. E poi è inutile rimpiangere il passato, che nel ricordo si tinge sempre di colori più belli. Oggi la tv, se non può più essere pedagogica, può almeno essere di servizio».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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