Il manifesto femminista del "kollettivo Cinecittà"

Le proteste vetero-femministe del "kollettivo" di Cinecittà

Il manifesto femminista del "kollettivo Cinecittà"

La storia aveva dato un compito al ’68 ma vien fuori che lui è andato fuori tema. Parola del kollettivo di Cinecittà. Contrordine compagne: l’uguaglianza era un’arma a doppio taglio, la parità di ruoli un miraggio, la libertà sessuale una ciofeca e anche liberarci anzitempo del reggiseno non è poi stata una grande idea. Sembra un esercito di suffragette confuse, pentite e fuori tempo massimo, quello delle attrici italiane firmatarie di una sorta di «manifesto» contro «l’intero sistema di potere». Il tema è noto, notissimo, sviscerato, svisceratissimo: le molestie, Weinstein e tutti i presunti porci come lui. Sono i toni a essere nuovi, anzi vecchissimi. Un linguaggio, delle categorie, degli slogan anni Settanta per rinnegare gli anni Settanta a loro cari sino a ieri. «La scelta davanti alla quale ogni donna è posta sul luogo di lavoro è: abìtuati o esci dal sistema», «noi conosciamo il nostro piacere», «la sessualizzazione costante e permanente degli spazi lavorativi. La disuguaglianza di genere...», «succede alla segretaria, all’operaia, all’immigrata, alla studentessa... », «noi non puntiamo il dito solo contro un singolo molestatore, noi contestiamo l’intero sistema». Nel 2018 sarebbe meno anacronistico spiegare cosa si intenda per «intero sistema» e sarebbe più onesto circoscriverne uno, ammettere che per «sistema» si intende soprattutto il loro: Hollywood, Cinecittà, i produttori, le attrici, i registi, gli attori. Le numerose firmatarie del manifesto tengono a specificare che la denuncia parte da loro solo perché sono loro a godere della visibilità necessaria a portare avanti una battaglia. E insistono sullo scandalo della «sessualizzazione dell’ambiente di lavoro», tralasciando il fatto che la «sessualizzazione» fa parte integrante del mestiere di attrice: per ruoli, scene, look, immaginario... È sempre lodevole avere una causa, quella lunga lista di nomi annovera un sacco di donne intelligenti e si sa, l’intelligenza si paga con la guerra in testa tutta la vita. Ma bisogna anche prestare attenzione in che guerra ci si infila. Con quali armi e in compagnia di chi. Unirsi contro «un sistema» non è un valore di per sé e, in certe cose, imparare a salvarsi da sole è la prima regola. Includere per salvarsi, estendere per livellare... È un concetto molto sessantottino, ma è anche, a tratti, un concetto molto ingiusto. Le attrici che ci dicono che i Weinstein sono un problema di tutte le donne, ci fanno un po’ venire in mente quei figli di papà che nel Sessantotto hanno sfasciato l’università togliendo ai figli degli operai l’unica chance di elevarsi.

Poi i rampolli sono finiti lo stesso a capo delle aziende, gli altri sono rimasti in fabbrica. Perché la richiesta di uguaglianza è sempre una speculazione al ribasso: la gente ti tira giù al proprio Weinstein, ma su nella propria Hollywood. 1968, 2018... come sono sempre uguali, tutti questi diversi

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