Il «Marigold Hotel» fa ancora il suo effetto

Al cinema le rifritture, o seguiti che dir si voglia, non valgono quasi mai il film pilota. Non fa eccezione Ritorno al Marigold Hotel (21.15 Raitre), che conserva comunque un certo, indiscutibile fascino. Merito sicuramente dei pochi cambiamenti avvenuti tra un episodio e l'altro, girati nell'arco di quattro anni (2011 e 2015), con gli stessi autori, il regista John Madden e lo sceneggiatore Ol Parker, la medesima ambientazione indiana e il cast, trasportato di peso da qui a lì. A dire il vero manca Tom Wilkinson, deceduto (nella finzione) alla fine del primo film, sostituito, e non è un cambio favorevole, da Richard Gere. Siamo a Jaipur (India). Il giovane Sony (Dev Patel), proprietario del Marigold Hotel, intende ampliare l'attività, ma incombono le nozze con Sunaina. Il ragazzo si è convinto che il nuovo ospite, l'affabile romanziere Guy (Richard Gere), sia un ispettore alberghiero. Così, per ingraziarselo, trascura i clienti più fedeli, come Evelyn Greenslade (Judi Dench) e Muriel Donnelly (Maggie Smith). Tutto qui, in estrema sintesi. La commedia ha i suoi assi nelle vispe ottantenni Judi Dench e Maggie Smith. A cui si devono due strepitose battute: «Come hai trovato l'America?»; «Avevo una brutta aspettativa, ma mi accorgo di essere stata ottimista».

E ancora: «Solo perché la guardo mia cara, non pensi che sia interessata a quello che dice». Unica nota stonata l'insopportabile, gesticolante divo indiano Dev Patel, un concentrato di smorfie da far impallidire Meg Ryan. Al suo cospetto, perfino l'intruso Richard Gere fa un figurone.

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