Un Marx sexy e pop per spiegarlo ai giovani globalizzati

Il film è un tentativo (un po' furbetto) di raccontare l'autore del "Capitale"

Un Marx sexy e pop per spiegarlo ai giovani globalizzati

Mao, Marilyn, Marx. È la Sacra Trimurti che da decadi sciama sugli oggetti pop, tra tazze, magliette e bandane. Come racconta Alvaro Vargas Llosa, figlio dello scrittore Premio Nobel Mario, quando i ragazzini argentini indossano un t-shirt col viso del Che, altra icona pop, dicono un'illuminante filastrocca: «Tengo una remera del Che y no sé por qué», ovvero: «Ho una maglietta del Che e non so perché». E infatti, che cosa sanno i giovani contemporanei di Karl Marx, per esempio? Sì, il filosofo, economista e storico nato a Treviri nel 1818 e morto a Londra il 14 marzo 1883, aveva una gran barba bianca che ancora fa la sua figura su ogni stampa riprodotta e già Andy Warhol ne aveva intuito l'impatto feticista sul mondo delle merci. Però adesso che i proletari del mondo liquido e globalizzato non saprebbero come unirsi, nonostante i telefonini smart; ora che per l'Europa s'aggira lo spettro del populismo e non del comunismo e mentre i «borghesi/ ancora pochi mesi» sono definitivamente spariti dalla faccia dell'Occidente, ci pensa il cinema a narrare l'autore de Il Capitale. Uno del quale - e c'è di che preoccuparsi - lo squalo della finanza George Soros dice che «ha ancora molto da insegnare...»

Così, direttamente dal festival di Berlino, nota piazza di spaccio ideologico, arriva Il giovane Marx, The Young Karl Marx, titolo del pretenzioso biopic del regista haitiano Raoul Peck, ex-ministro della cultura nella Haiti post-regime, in corsa agli Oscar 2017 con un docudramma sulla negritudine, I Am Not Your Negro. Magari, il filosofo tedesco si sarà rivoltato nella tomba londinese allo Highgate Cemetery all'idea del tappeto rosso steso al FilmFest, con gli attori fichissimi in posa davanti ai flash e i giornalisti a chiedere: «Quant'è attuale Marx?». Era uno dei film più attesi, pompato anche dal direttore della Berlinale Dieter Kosslick, merkeliano di ferro, il cui commento è stato: «Sarebbe bello poter guardare il mondo di oggi attraverso gli occhi di Marx» e invece ha diviso la critica. Troppo cerebrale per lo Hollywood Reporter, che l'ha paragonato alle «note per un corso universitario sulla storia del XIX secolo», il polpettone di due ore, situato tra il 1844 e il 1848, mescola riflessione politica, vita privata e ambienti storico-politici. Un romanzo di formazione, concentrato sul periodo dell'esilio parigino e sull'amicizia del ventiseienne Marx (August Diehl, il Maggiore Hellstrom in Bastardi senza gloria) con il ventinovenne Friedrich Engels (Stefan Konarske), che diventano i Jules e Jim della sinistra nascente, anche sospettati di relazione omoerotica nella scena in cui dormono nella stessa stanza. D'altronde, Mario Martone ha fatto la stessa insinuazione nel suo biopic su Leopardi, presentando il poeta di Recanati desideroso dell'amico Ranieri: va di moda reinterpretare le amicizie maschili nell'Ottocento.

I due pensatori devoti al Lumpenproletariat, comunque, brindano nei bistrot, amano, fumano sigari scadenti e parlano. Parlano tanto a lume di candela.

«Friedrich, mi è chiaro: in passato i filosofi hanno solo spiegato il mondo. Ora si tratta di cambiarlo», spiega Karl all'amico ricco, che conosce la vita degli operai: il padre ha una fabbrica di tessuti, mentre lui, povero in canna, s'è trasferito a Parigi con l'aristocratica moglie Jenny (Vicky Krips), che l'ha sposato anche se figlio di un ebreo convertito. Meno male che i padri del comunismo incontrano il pensatore Pierre Proudhon (l'attore-feticcio dei fratelli Dardenne, Olivier Gourmet), disposto a illuminare i loro pamphlet. Il biopic comunista si conclude sulle note di Like a Rolling Stone cantata da Bob Dylan. E il giovane Marx nei caffè di Parigi risulta sexy e pop quanto il giovane Papa di Sorrentino: c'è chi parla di Marx Renaissance, come fa Diego Fusaro in Bentornato Marx! Rinascita di un pensiero rivoluzionario (Bompiani).

Ma è la band cinese Parfum a rilanciare Marx in grande stile, con il rap «Marx è uno degli anni 90», marcetta in anglo-mandarino della studentessa della Peking University Zhuo Sina, che spopola tra i giovani, tendenzialmente poco interessati alla politica. Il governo di Pechino, infatti, ossessionato dalla rivalutazione purista della cultura tradizionale locale, ha bisogno di rieducare la gioventù, imponendo il padre del marxismo come eroe di fumetti e rap. «Anche se siamo già 1,4 miliardi di persone/ stammi a sentire/ Il comunismo è dolce come il miele», recita la canzone, sigla, tra l'altro, d'un programma tv su Inner Mongolia. Se Beyoncè alzava il pugno al Super Bowl 2016, non stupisce che Marx abbia un ritorno di culto globale.

Per la cronaca, il film «educativo» sul giovane Marx, coprodotto da Francia, Belgio e Germania, non ha distribuzione italiana: nelle sale farebbe la stessa fine di Fuocoammare di Gianfranco Rosi. Lanciato da Berlino, naufragato al botteghino.

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