Talvolta bastano poche parole. Magari due frasi. «Non voglio capire cosa posso fare io, ma fin dove può arrivare la chitarra». Milos Karadaglic ha 31 anni compiuti l'altro giorno e per mezzo mondo è ormai il miglior chitarrista acustico in circolazione. Nessuna esagerazione: il suo tocco sulla tastiera, in effetti, è sensibile e stupefacente già nel primo disco Mediterraneo. Ed è superbo nell'ultimo, Aranjuez (sempre su etichetta Deutsche Grammophon), nel quale interpreta anche il Concierto de Aranjuez di Rodrigo con una personalità difficile da catalogare. Un fuoriclasse. Per di più con le physique du role. E un carattere che più determinato non si può. Dopotutto arriva da Podgorica, Montenegro nel cuore della Mitteleuropa, e ha respirato la guerra proprio mentre si innamorava dello strumento più famoso e forse più versatile, sicuramente più simbolico. «Ero bambino, ho trovato quel vecchio arnese in soffitta e subito dopo, quasi per coincidenza, mio papà mi ha fatto ascoltare Asturias di Andrès Segovia: era il suono più bello che avessi mai sentito». A nove anni ha debuttato in pubblico. A 28, secondo la Bbc, la sue vendite discografiche rappresentavano il 20 per cento dell'intero mercato di musica classica inglese. Ora Milos è alla terza fase e ne parla qui (forse per la prima volta).
Ha bruciato le tappe, caro Milos.
«Ho sempre voluto provare a dimostrare che cosa realmente si potesse fare con la chitarra classica, che è uno strumento meraviglioso e dalle infinite possibilità».
Però quasi tutti, specialmente alla sua età, sognano di suonare quella elettrica.
«Cosa crede, anche io ho avuto un periodo, da bambino, nel quale avrei voluto cantare e suonare la chitarra elettrica e poi diventare una popstar. Ma poi mi è passata...».
Ma ci sarà qualche chitarrista elettrico che le piace?
«Il mio preferito è Nuno Bettencourt».
L'ex leader degli Extreme, ora un po' in ombra.
«Mi piacerebbe collaborare con lui, è realmente strepitoso. Ma mi piacciono anche Carlos Santana e Brian May dei Queen. Però il virtuoso che mi ha cambiato la vita è stato Andrès Segovia, maestro della chitarra classica».
Lo sperimentatore più grande di sempre. Dicono che lei sia il suo erede.
«Ho sempre cercato di conservare i piedi per terra. È il più grande e ho sempre sognato di suonare come lui, la sua chitarra è lirica e flessibile come fosse una voce. Nel mio piccolo, quando suono, vorrei che la mia chitarra suonasse come la Callas».
Studia molto?
«Sempre. Dopo il Conservatorio a Belgrado e la Royal Academy of Music di Londra, continuo sempre ad approfondire. Anche i concerti sono per me un approfondimento continuo. E ho la fortuna di poter suonare ovunque con orchestre meravigliose come, in Italia, la Verdi di Milano o l'Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia a Roma. Lavorare con tanti ensamble diversi in ogni continente è uno stimolo continuo che voglio conservare. In fondo il mio obiettivo è di diventare ogni giorno migliore. Sempre».
E ora?
«Diciamo che con questi dischi mi sono presentato. Ora vorrei andare in altre direzioni».
Quali?
«Fino a ora mi sono confrontato quasi esclusivamente con un repertorio spagnolo o, comunque, latino.
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