Esaltazione e terrore. Per il mito che ha interpretato. E per i miti che l'interpretarono prima di lei. «Ma per un'attrice Anna Karenina è come Amleto per un attore. È il ruolo dei ruoli». E così, fasciata in sontuose toilettes di velluto e taffetà, immersa fra le gelide nevi e i fastosi palazzi della San Pietroburgo zarista (per l'occasione ricostruita in Lituania), al centro d'una super coproduzione da dieci milioni di euro, Vittoria Puccini ha tacitato i propri timori. E con l'Anna Karenina firmata Lux, che vedremo lunedì e martedì su Raiuno, ha sfidato il mito.
Greta Garbo, Vivien Leigh, Lea Massari, Jacqueline Bisset, Sophie Marceau, Keira Knightley... Soltanto a scorrere l'elenco delle star che hanno incarnato l'eroina di Tolstoj, ci sarebbe di che sgomentarsi.
«Ma anche esaltarsi. E non per il gusto della sfida (non ho visto nessuna di queste interpretazioni: il regista Christian Duguay me l'ha esplicitamente proibito), ma per l'unicità del ruolo. Che è poi l'altra faccia della medaglia: se Anna ha avuto il volto delle più grandi attrici del Novecento, ha soprattutto l'anima di Tolstoj. Ed è soprattutto a quella che mi sono rifatta».
In effetti, a differenza delle altre versioni, la vostra non punta soltanto sull'amore infelice fra la tormentata protagonista e il suo bell'ufficiale di cavalleria.
«No: noi siamo stati più fedeli al romanzo. Che inizialmente doveva intitolarsi Due matrimoni proprio perché, alla passione perduta di Anna per Vronskij, contrapponeva l'amore costruttivo di Kitty per Levin. Come in Tolstoj, nella nostra fiction le due storie corrispondono a due modi opposti di intendere l'amore. E uno illumina l'altro. Anna si lascia travolgere dall'illusione: una passione che lei sa, fin dall'inizio, finirà male. Kitty trova la forza di resistere a quella stessa illusione: e in un amore sofferto ma sano trova, infine, la propria realizzazione».
Sia pure dentro un'accuratissima ricostruzione ottocentesca, sembra che abbiate cercato di esprimervi in forme più vicine a una sensibilità moderna...
«Ah, non c'è dubbio. Lo si vede dai dettagli. Le riprese di Duguay, spesso affidate alla stadycam, conferiscono alla narrazione un moto serrato e avvolgente. I costumi, pur fedeli, volutamente tralasciano dettagli troppo agée (Anna esce spesso senza cappello, mentre nessuna signora russa dell'Ottocento l'avrebbe fatto). Quanto alla musica, per il momento-clou del gran ballo in cui i due protagonisti s'innamorano, al classico valzer si è preferita una canzone di Randy Crawford, One day i fly away, già cantata da Nicole Kidman in Moulin Rouge».
E poi c'è lei, Anna. Alternativamente vittima ed eroina, fedifraga e innamorata, madre tenerissima e snaturata.
«Soprattutto donna vera. E proprio per tutte le contraddizioni che ha elencato lei. Anna è, in ultima analisi, vittima di se stessa. Trascurata dal marito, si getta fra le braccia dell'amante, ma sbaglia i suoi calcoli con entrambi. Così si tormenta: diventa insicura, gelosa, egoista. Tutto perché, in realtà, è soprattutto con se stessa che non sa vivere».
Nonostante il coraggio di cui, pur nell'errore, riesce a dar prova.
«Anche quando sbaglia, sì. Perché in una società formale come quella dell'aristocrazia russa di fine Ottocento ha la temerarietà di sfidare le convenzioni. Abbandona un marito importante, un figlio unico, ha una figlia illegittima dall'amante. Sono tutti questi aspetti che la rendono cara, da sempre, a generazioni di lettori. Speriamo che anche i telespettatori sappiano coglierne la vibrante umanità di donna vera e forte».
Per la Rai sta girando un'altra fiction: Oriana che, scritto da Rulli e Petraglia e prodotto da Procacci, racconterà la controversa storia della Fallaci.
«Cioè la storia di un'altra donna forte. E vera. In tutti i sensi.
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