Morto Crespi amministratore di ferro de il "Giornale"

Morto Crespi amministratore di ferro de il "Giornale"

Era talmente legato al «suo» Giornale che dormiva qui, nel palazzo, al sesto piano, e nulla sfuggiva alla sua vigile severità. Poi viveva qui dentro anche perché non voleva far spendere soldi all'azienda. Era fatto così Roberto Crespi, l'amministratore delegato di ferro degli anni d'oro del nostro quotidiano, scomparso ieri a 82 anni. Era molto gentile (chiamava tutti «dutur»), ma freddo come il ghiaccio; non si usciva vincenti da una trattativa con lui, non c'era verso di spuntarla, anzi, lui riusciva quasi a convincerti che tu avevi torto. Per lui prima di tutto veniva il lavoro, l'azienda.

A mezzanotte lo trovavi ancora seduto alla scrivania, con il suo abito grigio appena appena un po' largo a supportare la sua magrezza, fresco come se fosse appena arrivato. Adele Perego, sua fedele segretaria per oltre vent'anni, lo ricorda così, lavoratore indefesso che sacrificava tutto (e tutti) per i risultati. Perfino dopo un prelievo al midollo spinale volle tornare «al pezzo», e nessuno riuscì a fargli cambiare idea. Con Crespi il Giornale funzionava bene, pur avendo a che fare con direttori simbolo come Montanelli e Feltri. Non voleva far spendere soldi all'azienda abbiamo detto, e non voleva avere debiti nei confronti di nessuno. «Riceveva un sacco di regali - ricorda la Perego - persino uno dei primi televisori al plasma, ma lui rimandava tutto al mittente con un breve biglietto di ringraziamento. E se poi ci devo litigare o discutere come faccio se accetto qualcosa?», si domandava. Torinese vecchio stampo, non faceva sapere nulla di sé. Nessuno sapeva se fosse juventino o torinista, o forse persino interista, e nessuno sapeva ciò che aveva in mente. Durante i Mondiali del '90, mentre giocava l'Italia e tutte le redazioni erano un po' «distratte», lui si aggirava per le scale prendendo nota di tutto.

L'Italia segnò un gol e un fattorino gli disse: «Dottore, abbiamo segnato», e lui replicò secco: «Sì, ma qui c'è un giornale da chiudere».

Grande imprenditore, dopo il Giornale ha rivoluzionato L'Alto Adige e soprattutto Libero con Feltri, lasciando a Gianni Di Giore un gioiellino ben rodato.

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