La musica torna a guadagnare (poco)

Prima o poi avrebbe dovuto succedere. È successo: finalmente il mercato musicale ha smesso di scavarsi la fossa e inizia a risalire. Lentamente. Lentissimamente. Secondo il rapporto della Federazione Internazionale dell'Industria Fonografica (IFPI) i ricavi globali legati al commercio e alla diffusione della musica sarebbero passati da 16,4 miliardi di dollari del 2011 a 16,5 del 2012. Per carità, un'inezia. Una crescita dello 0.3 per cento che però, secondo il presidente Frances Moore, significa che «siamo sulla strada della ripresa». Per la precisione, si tratta del primo segnale minimamente positivo del mercato sin dal 1999, anno nel quale le vendite discografiche erano state soddisfacenti nonostante fosse già apparso il moloch Napster. Magari qualcuno non se lo ricorderà più: Napster era un programma di file sharing che è diventato IL precedente fondamentale per la pirateria. Da quando milioni e milioni di ragazzi hanno iniziato a usarlo, si è diffusa con virulenta velocità l'idea che la musica potesse essere gratis. Che scaricare illegalmente non fosse poi così illegale. Che il «peer to peer», ossia la condivisione tra hard disk, non rappresentasse quello che in realtà è: un gigantesco danno al mercato e quindi alla musica. Per capirci, il download illegale non penalizza soltanto le superstar, che non hanno certo problemi di sopravvivenza. Ma mina l'industria alle fondamenta, tagliando posti di lavoro di fonici, tecnici, uffici stampa eccetera eccetera. Si è arrivati fino a segnare un crollo di vendite pari al 40 per cento. E, sempre secondo dati IFPI (segnala la vendita di altri 8 milioni e 300 mila copie del disco di Adele), tuttora il 32 per cento degli utenti internet di tutto il mondo scarica musica illegalmente.

Per fortuna il tracollo si è fermato. E il segnale positivo arriva proprio dal web, che nel 2012 ha fatto crescere del 9 per cento le entrate discografiche, raggiungendo il 34 per cento del fatturato totale. Un lampo di luce, finalmente. Era ora.