Certi attori il proprio destino ce l'hanno scritto in faccia. Con quel grugno torvo, gli occhi notturni, il ghigno inquieto, cos'altro poteva diventare, Pierfrancesco Favino, se non un grande attore drammatico? Eppure: andate a scoprirlo al teatro Ambra Jovinelli di Roma. E stupirete anche voi per come il feroce Libanese di Romanzo criminale, o lo squassato Pinelli di Romanzo di una strage sia riuscito nel salto mortale di trasformarsi in uno «zanni» da Commedia dell'Arte. Ovvero in un trascinante, irresistibile attore comico.
La prima reazione dello spettatore di Servo per due è lo stupore. Favino che fa (quasi) Goldoni?
«Da un po' di tempo sentivo che il mio lavoro, che pure va benissimo - io sono un privilegiato - mi stava isolando dal resto del mondo. Se un attore perde i contatti con la realtà, e la realtà di un attore è il suo pubblico, è fregato. La soluzione era una sola: tornare al teatro. E quando a Londra ho visto One man, two guvnors, adattamento del Servitore di due padroni di Goldoni firmato da Richard Bean, ho detto: ecco il testo giusto».
Ma Servo per due non è solo il suo primo ruolo comico tout court. È anche il suo esordio nella regia teatrale, firmata in coppia con Paolo Sassanelli.
«Volevo impegnarmi totalmente per raggiungere uno scopo. Divertire. Volevo che il pubblico spalancasse gli occhi per la gioia, battesse i tempi a ritmo con le canzoni, ridesse senza complessi. E se ne tornasse a casa contento dei soldi spesi. Questo mi pare addirittura un dovere, per chi fa teatro. Soprattutto oggi».
Cosa che - grazie a otto mesi di prove, scene multiple, cambiamenti a vista, venticinque attori e una dozzina di vivaci canzoni d'epoca eseguite dal vivo (da Bambina innamorata a Pippo non lo sa ) - accade puntualmente.
«Bean aveva trasferito l'intreccio goldoniano nella Brigthon degli anni '60. Io l'ho ri-italianizzato preferendo la Rimini degli anni '30. Atmosfera balneare, cappelli Borsalino e pantaloni alla zuava, ragazze come signorine Grandi Firme e ragazzi come fumetti del Corriere dei Piccoli. Un mondo colorato che si sposa a meraviglia con le carambole della farsa originale. E sottolinea i molti tipi italiani che Goldoni aveva intuito - il cinico, il cialtrone, il furbastro - e che ritroveremo nella commedia all'italiana del nostro cinema».
Improvvisazione compresa. Spesso lei scende in platea per invitare sul palco vari, terrorizzati spettatori...
«Volevo ricucire il mio rapporto col pubblico... E quale modo migliore che portandolo in scena con me?».
C'è perfino un indiretto omaggio alla mitica regia che del Servitore fece Strehler, col suo Arlecchino.
«Solo gli amanti del teatro se ne accorgono. È la voce del mio Arlecchino (qui chiamato Pippo) modellata su quella del protagonista di Strehler, il leggendario Ferruccio Soleri. Ma proprio per rispetto a lui, e al senso collettivo di questo lavoro, ho diviso alcune parti del mio ruolo con quelle di altri servi sciocchi dello spettacolo. E i 25 personaggi del cast sono interpretati a turno dai 40 attori del mio gruppo Danny Rose».
Ma al proprio destino non si sfugge. All'orizzonte ci sono altri due nuovi ruoli drammatici.
«Drammatici e magnifici. Per Canale 5 dovrei interpretare Buscetta, diretto da Alexis Sweet e prodotto dalla Tao due. Dico dovrei perché, pur ripetutamente annunciato, il progetto è in stand by. Certo un personaggione, questo pentito che collaborò con Falcone: uomo molto complesso, intelligente, con interessantissimi risvolti psicologici. Per la Rai invece ho finito d'interpretare Giorgio Ambrosoli in Qualunque cosa succeda, dall'omonimo libro del figlio Umberto, per la regia di Alberto Negrin.
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