Pharrell Williams, il re Mida che sposa Hollywood e pop

Produttore e cantante, ha perso l'Oscar ma da anni domina le classifiche mondiali. Ha rilanciato Britney e Madonna, canta con Daft Punk e il suo idolo è Jackson

Tanto lui c'è. Ovunque. E comunque. Alla cerimonia degli Oscar è arrivato - stiamo parlando di sua maestà Pharrell Williams - con uno smoking «pinocchietto», ossia con i pantaloni stile bermuda. Orrore. E in classifica arriva proprio in questi giorni con un disco che si intitola G I R L (scritto così altrimenti s'arrabbia) e srotola un parterre di ospiti che tutte le altre popstar se lo sognano: Alicia Keys, Justin Timberlake, Miley Cyrus, Daft Punk e pure la resuscitata figlia di Ozzy, Kelly Osbourne, che, ironia della sorte, canta nel primo brano Marilyn Monroe.

Tutti lo vogliono. Tutti lo riveriscono.

Di certo Pharrell Williams, classe 1973, nato a Virginia Beach a un metro dall'Oceano Atlantico e meglio conosciuto dai suoi compagni della Princess Anne High School come Skateboard P, ossia il piccoletto scatenato che se non surfava allora skateava, nella sua vita ha voluto solo questo: diventare tutto. Adesso è ben oltre la metà dell'opera. Andiamo per ordine. Produttore discografico (cento milioni di dischi venduti, sette Grammy vinti). Polistrumentista (percussioni, tastiera, chitarra). Cantante non troppo dotato. Fondatore di marchi musicali(i NERD sono musicisti, i Neptunes sono produttori, e che produttori: chiedete a P.Diddy, Kid Rock e Mary J Blige). E di case di moda (Delle due che ha creato, una piacerebbe a Briatore: Billionaire Boys Club). È anche un curioso inventore di nomi per figli: il suo si chiama Rocket Man, ebbene sì, e lo ha concepito con la sua fidanzata storica, la modella Helen Lasichanh, che è più giovane e più alta di lui. Inoltre, se gli va, recita (in due film e nella serie tv 90210). Altrimenti risolve i guai musicali altrui. Tanto che Billboard lo incoronava come più grande produttore del decennio 2000-2010, lui ha collaborato, scritto, cantato e suonato per una tale quantità di artisti che al confronto il Live Aid sembra una sagra di paese. In ordine di apparizione (e senza elencarli tutti): Kelis, Britney Spears (I'm a slave 4 U del 2001 è stato il suo primo numero 1 mondiale), Jay Z, Justin Timberlake, Gwen Stefani, Kanye West, Rolling Stones, Madonna (il cd Hard candy ha praticamente la sua firma), The Roots, Beyoncé, Maroon 5, Shakira, Jennifer Lopez, Mika, Frank Ocean, Robin Ticke (canta in Blurred lines) e soprattutto Daft Punk per i quali ha cantato Get Lucky e Lose yourself to dance, cioè i due più grandi successi del loro ultimo disco che è stato il più grande successo del 2013: Random Access Memories. C'è stato un momento, giusto qualche mese fa, nel quale Pharrell Williams era la voce dei singoli al primo e al secondo posto della classifica americana (Blurred lines e Get lucky). Di più è praticamente impossibile.

Bene, bravo, bis.

Ma perché Pharrell Williams è ormai diventato un brand? È furbo, curioso e instancabile. Mescola la lezione del funk coraggioso di George Clinton con le intuizioni hip hop di Timbaland e Dr Dre senza aver paura di contaminarsi con l'elettronica, i suoni mediorientali, i ritmi africani. E evita l'integralismo sonoro neppure fosse la peste.

E bravo Pharrell.

Dopo aver partecipato alla colonna sonora di Cattivissimo me, ha accettato il bis per Cattivissimo me 2, uscito a fine 2013, pubblicando il brano Happy, forse in questo momento il più trasmesso al mondo (ed è compreso nel disco G I R L). Per farlo conoscere, si è inventato un video lungo 24 ore, al quale partecipano, tra gli altri, anche Jamie Foxx, Magic Johnson, Steve Martin, Janelle Monáe e Miranda Cosgrove. Boom.

E forse è anche il brano che più lo rappresenta: una via di mezzo tra ciò che piaceva a Michael Jackson (il suo idolo) e ciò che vorrebbe cantare Prince (il suo modello). Perciò, anche se vestito da far inorridire Valentino, Pharrell Williams è l'uomo del momento: fa sembrare nuove intuizioni del passato e, per di più, è così inarrestabile che manco ce ne accorgiamo.

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