L'inizio è in stile urban-cowboy. Riprese aeree di quel dedalo stradale che è la conurbazione Ciudad Juárez-El Paso. Due milioni di abitanti con un confine in mezzo. Da un lato i narcos, dall'altro le villette a schiera, da un lato i bordelli e il gioco d'azzardo, dall'altro gli ospedali che funzionano e l'aria condizionata negli iperstore. Di là del ponte sul Rio grande le centinaia di morti ammazzati su cui la polizia messicana non indaga, di qua del ponte qualche cadavere su cui il coroner svolge le più complicate indagini forensi. Solo che all'improvviso accade qualcosa di incredibile. Le decine di telecamere che sorvegliano la frontiera tra questi due mondi così vicini e così lontani - tanti statunitensi vanno in Messico per sballare, tantissimi messicani lavorano negli Usa per campare - si spengono di colpo.
Quando si riaccendono a metà strada tra i due posti di confine, è comparso un cadavere. Anzi due mezzi cadaveri. Qualcuno ha appiccicato il busto di un giudice di El Paso, Lorraine Gates, alle gambe di una delle tante belle ragazze che scompaiono nei bassifondi di Ciudad Juárez. E ovviamente scoppia il finimondo, con tanto di guerra di competenza tra le due polizie. Sino a che, di necessità virtù, si finisce col creare una squadra mista: i gringos sfoderano la loro detective più ossessiva, Sonya Nort, i mangiatori di tacos quello che passa il convento. Ovvero un anchilosato ma esperto poliziotto, Marco Ruiz. E i due si trovano così a dar la caccia ad un assassino iper tecnologico che ha solo iniziato a spargere il terrore. Questo è l'avvio al fulmicotone della serie The Bridge che andrà in onda dal 18 luglio ogni giovedì alle 21 su FoxCrime (canale 117 di Sky). E davvero la trama che mette un po' assieme Criminal Minds e il romanzo di frontiera à la Non è un Paese per vecchi di Cormac McCarthy (guarda caso lo scrittore ha vissuto a lungo proprio a El Paso) è avvincente. Tanto più che a rendere ben funzionante questa alchimia tex-mex ci sono degli attori veramente bravi. Ad interpretare l'algida poliziotta a stelle e strisce, tutta raziocinio e regolamento è Diane Kruger (Bastardi senza gloria, e The Host), che riesce a regalare a questo personaggio il giusto tocco di alienazione. Invece a dare sostanza al collega messicano Marco Ruiz, costretto a districarsi tra corruzione e inefficenze è Demian Bichir che l'anno scorso ha sfiorato l'Oscar per il miglior attore protagonista con A Better Life.
Assieme rendono credibili tutte le complicazioni che possono nascere in un indagine che coinvolge due Paesi sempre più simbiotici ma che stentano a capirsi. E la serie gioca su questo tema caldo, quello dell'emigrazione senza quei buonismi di rito che qui da noi, in un prodotto similare, ammazzerebbero la trama. L'americana inflessibile, ha gravi problemi comportamentali e pochissima empatia, scarica sul messicano una tonnellata di accuse: «Siete corrotti, pigri inefficienti, sessisti, non sapete nemmeno cosa sia una regola». Il collega del Sud invece si arrangia a prescindere, armato di una flemma atavica. È conscio che però la ragazzina bionda che gli hanno appioppato pur psicotica e arrogante ha una marcia in più e davvero può dargli una mano a ottenere giustizia. Certo nel prodotto televisivo di Fox Productions non mancano gli stereotipi. Però gia il fatto di avere una trama che si snoda per 13 puntate senza il ricorso al solito schema ciclico da telefilm è un bell'esperimento per un thriller. E anche la regia è caratterizzata da una voglia di osare che altre serie non hanno.
Ma in The bridge c'è anche un altro aspetto curioso. Questa serie al peperoncino piccante in realtà ha origini nordiche. Il format è nato nel 2011 come coproduzione Svezia-Danimarca e si chiamava Bron.
In quel caso i cadaveri venivano ritrovati sul ponte che unisce Copenaghen a Malmö. Però in questo caso bisogna dire che «Americans do it beter». Chissà invece come sarà la serie anglo-francese ambientata nel tunnel della Manica...- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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