Mettere in scena la Storia. Quella con la S maiuscola. È questo che Edoardo Sylos Labini ha fatto a teatro negli ultimi anni. Ora dopo aver dato corpo e voce, tra gli altri, a Filippo Tommaso Marinetti e Italo Balbo, si accinge a far alzare il sipario sui dettagli più intimi della vita di Gabriele d'Annunzio. L'occasione: i centocinquant'anni dalla nascita del poeta. Il modo: uno spettacolo che prende spunto da un corposo studio (D'Annunzio, l'amante guerriero) del presidente del Vittoriale, Giordano Bruno Guerri, e che sfrutta tutte le potenzialità del «Disco-Teatro» il particolare approccio scenico che è diventato un po' il marchio di fabbrica di Sylos Labini (oltre che del regista Francesco Sala e del dj Antonello Aprea che lavorano con lui).
Ma ecco come lo stesso Sylos Labini ci racconta tutto il lavoro necessario per far calcare le scene al Vate in Gabriele d'Annunzio, tra amori e battaglie (lo spettacolo che debutterà a Chieti il 9 febbraio e poi girerà l'Italia è stato presentato ieri alla Rinascente di Milano).
Edoardo Sylos Labini, per impersonare D'Annunzio lei si è imposto una trasformazione fisica notevole... Lo stesso Giordano Bruno Guerri giura che lei è somigliantissimo...
«Purtroppo non ho potuto abbassarmi di 15 centimetri... però per compensare abbiamo scelto delle attrici molto alte per impersonare le donne del poeta. Comunque è stato un grosso lavoro, quando porto sulla scena dei personaggi storici cerco di diventare il loro avatar... A esempio, per fare Mazzini (cui ha dedicato una trilogia teatrale, Ndr) mi son fatto crescere la barba e poi ho lavorato sulla voce e i gesti... Ma non è solo questione di aspetto, tipo rasarmi i capelli come ho fatto ora per essere più simile a D'Annunzio... Questo è solo il primo versante del mio lavoro. Dietro c'è uno studio filologico. Leggo tutto ciò che è possibile leggere sul personaggio... Sa se avessi usato un metodo un approccio alla Stanislavskij con D'Annunzio avrei rischiato il divorzio...» (e ride).
Cosa ha apprezzato di D'Annunzio in questo suo studio filologico?
«La modernità... Ad esempio la capacità marketing, applicata anche a se stesso. Si è trasformato in un'icona. Era un Cagliostro, un Casanova, un seduttore... Aveva un sacco di maschere. La sua vita è un gran teatro. Da questo punto di vista era perfetto per le scene... Del resto in quegli anni, se pensa anche a Pirandello, il connubio arte-vita teatro-vita era fortissimo per gli intellettuali italiani».
E quale è stata la maggior difficoltà nel portare sulla scena il Principe di Montenevoso?
«La forza e l'irruenza di D'Annunzio erano facili, nelle mie corde... La parte più complessa è stata rendere le sfumature, il lato più umano, tenero, insinuante, quello che ne faceva un grande amatore... Aveva anche una voce molto melata, in scena la riproduco...».
Mazzini, Balbo, Marinetti, ora D'Annunzio. La Storia in teatro funziona?
«Funziona se la sai raccontare, se le si leva la polvere. Se riesci ad avvicinarla al pubblico. È per questo che usiamo la formula del Disco-Teatro, la musica fa sognare subito. In questo spettacolo il dj, Antonello Aprea, è in scena dentro una grande cornice dorata come se D'Annunzio avesse voluto lì un quadro della modernità: elegantissimo, mixa Wagner, Debussy e Joséphine Baker con la musica elettronica... Tutto così diventa più vicino e immediato. Nel caso di D'Annunzio poi c'è la modernità del personaggio. In un discorso a Fiume dice: È necessario che una nuova fede popolare prevalga contro la casta politica al servizio della spietata plutocrazia.... Più attuale di così».
E dopo D'Annunzio?
«Ormai mi sono specializzato nelle rievocazioni storiche e tra poco arriva il centenario della Prima Guerra Mondiale... È uno stimolo davvero forte, vediamo cosa estraggo dal cilindro».
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