Un posto a teatro

Con la modalità di «eretico dell'etica» che lo contraddistingue, Pippo Delbono porta in scena un'altra avventura dell'anima, incarnata da corpi d'attore, pezzi di «arte» in sangue e ossa selezionati tra gli «ultimi» in anni di percorso teatrale (è scomparso Bobò, icona della Compagnia Pippo Delbono, ma il suo spirito aleggia per tutta la pièce). La poetica è ispirata all'approccio buddista che da anni qualifica il lavoro di Delbono: avere tutto non significa niente, non aiuta a combattere il dolore, non sorregge nel cammino verso la gioia, zona dimenticata del nostro sguardo sul mondo. L'urlo che abbatte la diga della finzione, il velo di Maya si potrebbe dire, è la domanda delle domande: «Ma dov'è questa gioia, dov'è?». Lo spettacolo non ha andamento drammaturgico classico, ma segue le consuetudini del rito, intese come pratiche che portano nel reale l'astratto inafferrabile dei Valori, i motivi che ci spingono a svegliarci, uscire dal letto e combattere ogni giorno. Entrano perciò in scena, con allegro caos del cuore in chi guarda, panni, lampi e fiori (creazioni di Thierry Boutemy), e poi suoni e balli per provocare il passaggio dal buio del Terrore alla luce non dei Lumi, bensì della follia d'amore.

Il cuore del pazziare all'italiana rimane Napoli, cui va il tributo delle citazioni di Pino Daniele e Totò, ma il viaggio di un'ora e venti è universale, immerso in un linguaggio scenografico fatto di vuoto e immaginario, a rendere la semplicità di un «poco» che è tutto.

LA GIOIA Torino, Teatro Astra, fino a domani. Poi al Teatro Strehler di Milano, fino al 9 giugno, e in tournée.

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