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Proust pagò per far pubblicare ottime recensioni alla «Recherche»

Daniele Abbiati

Marcel Proust non si fidava molto degli altri. Per questo preferiva fare tutto da solo. Direttamente, come nel caso del sesso, o indirettamente, come nel caso delle recensioni. La prima annotazione non è una notizia. È noto che una volta suo padre, l'austero dottor Adrian, gli diede una paghetta di 10 franchi da spendere al bordello per indurlo ad abbandonare, scrive Marcel al nonno, «le mie cattive abitudini». «Ma - continua il solitario diciassettenne - 1º nella mia emozione ho rotto un vaso, 3 franchi; 2º a causa di quella stessa emozione, non sono riuscito a scopare. Eccomi dunque come prima in attesa di ora in ora di 10 franchi per scaricarmi e in più di 3 franchi per il vaso. Ma non ho il coraggio di richiedere tanto presto il denaro a papà e spero che vorrai venire in mio soccorso in questa circostanza». Capito il tipo?

Il tipo lo si capisce ancor meglio approfondendo la seconda annotazione. Che è, questa sì, una notizia, emersa da alcune lettere inedite venute alla luce insieme a una copia della prima edizione di Dalla parte di Swann e che andranno all'asta oggi da Sotheby's, a Parigi. A ricostruire la storia è stato il Guardian, mai come in questo caso arcigno guardiano della moralità letteraria. In sostanza l'autore della Recherche fece pubblicare, sul Figaro una recensione che definire sdraiata sarebbe poco, oltre che malizioso. No, non l'aveva scritta Marcel. Almeno in questa pratica, non voleva sporcarsi le mani, per cui scelse alla bisogna un testo dell'amico Jacques-Émile Blanche. Letterato a sua volta, Blanche era soprattutto un ottimo pittore (suo il più famoso ritratto di Proust, quello conservato al Musée d'Orsay). Cogliamo qualche sua perla: «Il libro è un piccolo capolavoro che come una raffica di vento soffia via i vapori soporiferi»; «quello che Monsieur Proust vede e sente è completamente originale»; «quasi troppo luminoso per l'occhio... Questo libro suggerisce quasi la quarta dimensione dei cubisti». Nulla di male, in fondo. Quante sviolinate leggiamo, ancora oggi, sulle quarte di copertina?

Il fatto è che il buon Marcel, come rivelano le lettere, per avere la certezza che la marchetta andasse a buon fine, con orgasmo editoriale annesso, scucì la bellezza di circa 900 sterline attuali. E poi con il Journal des Débats fece la stessa cosa, pagando più del doppio, usando l'alata prosa di Louis Brun, allora alle dipendenze dell'editore Grasset, quindi una specie di ufficio stampa. Episodi disdicevoli, senza dubbio.

Ma che suscitano una riflessione terra terra: se per pubblicizzare se stesso uno che si chiamava Marcel Proust mise sul tavolo quelle cifre, quanto dovrebbero investire certe sparagnine grandi firme di oggi che si fanno fare le presentazioni gratis?

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