Quando l'immagine fotografica è sofferenza e speranza

È un luogo pieno di storie e di dolore l'ex manicomio di Colorno, comune in provincia di Parma. Per le sue sale sono passate diverse troupe televisive, alla ricerca degli spiriti dei degenti che secondo alcuni non se ne sarebbero mai andati. Ma non sono stati i fantasmi ad attirarvi Barbara Bozzi. «Mi piacciono i luoghi che sono stati e non sono più. È come se contenessero racconti e ricordi nascosti, momenti congelati, come se il fermarsi della loro evoluzione li rendesse eterni: il loro passato appare vicino, quasi tangibile». L'ex ospedale psichiatrico risale al 1873 e ha accolto i malati della provincia fino a quando l'approvazione della legge 180 ne sancì la progressiva chiusura. Abbandonato ma ancora relativamente intatto, il sito è celebre per gli estimatori italiani del «ruin porn», il feticismo degli edifici in disuso. «Credo che molti come me amino fotografare questi luoghi per l'inquietudine che trasmettono e le emozioni che suscitano – commenta Barbara Bozzi –; il fatto che siano vuoti li rende più malleabili». Prima del manicomio di Colorno, infatti, l'artista ha immortalato i locali della Ticosa, un setificio ormai demolito.

L'inclinazione della Bozzi a «cogliere e fermare un momento preciso per trasformarlo in qualcosa di unico» le è stata trasmessa dal padre, regista e fotografo. Pur convertitasi quasi del tutto al digitale, l'artista conferma anche in questo senso la sua fascinazione per il passato lavorando con macchine analogiche come la Polarioid e la Lomo. Negli scatti si vedono gli ampi locali e i lunghi corridoi del manicomio, con la vernice che si sgretola e la luce metallica che entra dai finestroni ferendo gli occhi. Per terra, vestiti e scarpe abbandonati, cartoline votive, valige piene con nomi e cognomi, cartelle cliniche, carrozzelle. Tanti oggetti così intimamente personali da creare un leggero disagio in chi li osserva.

«Nel manicomio di Colorno, sofferenza e speranza si mescolano e impregnano le pareti.

Spesso sembra quasi di avvertirne la desolazione – spiega la Bozzi –; le sedie a rotelle vicino alle grandi finestre sul cortile interno mi fanno pensare a chi guardava fuori per ore, con la mente rapita da pensieri che non conosceremo mai».

I lavori di Barbara Bozzi saranno presto visibili su www.barbarabozziphoto.com

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