Esce giovedì prossimo La paura è un peccato. Lettere da una vita straordinaria (Rizzoli, pagg. 368, euro 20) di Oriana Fallaci. Nel volume, a cura del nipote ed erede Edoardo Perazzi, sono incluse 120 lettere firmate dalla scrittrice. La prima è datata 1958, quando la Fallaci aveva 29 anni e lavorava per l'Europeo. L'ultima risale a pochi mesi prima dalla morte, avvenuta il 15 settembre 2006. Basta sfogliare l'indice dei destinatari per comprendere l'unicità del personaggio. Ci sono Henry Kissinger e Fidel Castro, Shirley MacLaine e Anthony Quinn, Ingrid Bergman e Liv Ullmann, Pier Paolo Pasolini e Carlo Cassola. Ma anche il suo vicino di casa nel Chianti, colleghi noti (Vittorio Feltri e Giuliano Ferrara) e meno noti, amici famosi (monsignor Rino Fisichella) e per nulla famosi. A tutti, la Fallaci si dona sempre e per intero. Può intrattenere con una serie di aneddoti spassosi, lasciarsi andare a confessioni personali, analizzare la situazione politica, predisporre le nuove iniziative editoriali: in ogni riga c'è sempre tutta la Fallaci. Nella prefazione, Perazzi spiega perché ciò accada: le minute delle lettere, correzione dopo correzione, rivelano lo stesso travaglio compositivo dei libri. Le parole contano, sempre. È questo «rispetto» della scrittura a collocare la Fallaci in un'altra categoria rispetto al giornalismo. La categoria della letteratura, anche se i critici, affetti da ritardo cronico o snobismo, non se ne sono accorti. Mancano all'appello, per scelta editoriale, due carteggi intimi, quelli con Alfredo Pieroni, il primo amore della Fallaci, e con François Pelou, col quale la scrittrice ebbe una relazione ai tempi del Vietnam. La paura è un peccato alza anche il sipario sugli ultimi anni della Fallaci, quelli de La Rabbia e l'Orgoglio. In una lettera a Rino Fisichella, datata maggio 2006, la Fallaci scrive: «E va da sé che se piove non possiamo cenare sotto l'ombrello di foglie cioè sul terrazzino.
Luogo giusto per approfondire il discorso sull'incontro che ha un senso perché è stato pianificato da Dio, e guai a non viverlo con l'intensità e la coerenza di cui siamo capaci. (Cosa di cui sono assolutamente convinta.)». L'incontro adombrato si direbbe quello con la morte: sempre intensa, anche di fronte all'unica sfida che non si può vincere.
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